Che la cultura contemporanea viaggi su una strada avversa alla famiglia, intesa quale unione tra un uomo e una donna, e alla vita, dal concepimento fino alla morte naturale, non è certo una novità. Anzi, la notizia sarebbe se il treno del progressismo decidesse quantomeno di rallentare la propria corsa, anche se qualche sparuto segnale positivo in merito negli ultimi tempi lo si è avuto, soprattutto da Oltreoceano.
In tale contesto, dunque, stupiscono fino a un certo punto gli esiti emersi dal 67esimo incontro della Commissione delle Nazioni Unite sulla condizione giuridica e sociale delle donne (CSW), organizzato annualmente per commemorare la Festa internazionale della donna dell’8 marzo. Basti pensare che lo scorso anno (si veda un pezzo del Timone in merito) l’Associazione per i diritti delle donne nello sviluppo (AWID) aveva chiesto che tutti gli «infiltrati anti-diritti», come erano stati definite le sigle pro life e pro family, venissero perseguitate ed espulse dalle Nazioni unite.
Nell’Anno Domini 2023 il mantra ultra-femminista e di fondo anticattolico non è cambiato, anche se forse il tiro si è ulteriormente alzato e questa volta ha visto chiamata fortemente in causa anche la Chiesa cattolica, come emerge da un articolo riportato su Info Catolica. Inoltre, nell’ultima edizione dell’evento, oltre ai consueti attacchi a quanti difendono la vita e la famiglia – dalle singole associazioni, fino appunto alla Chiesa stessa – si sono portate avanti anche le istanze del mondo arcobaleno, quale ennesimo tentativo di normalizzare da un lato l’omosessualità e dall’altra il transgenderismo, con tutto quanto è a queste ideologie collegato, dai matrimoni same-sex, alle adozioni e via arcobalenando.
L’ATTACCO ALLA CHIESA
Ma diamo spazio alle parole di quanti sono intervenuti, che risultano più esplicite di molti discorsi. Catholics for Choice, un’organizzazione favorevole all’aborto e al mondo Lgbt in generale, ha fatto un intervento che dice tutto fin dal titolo: «Come la Chiesa cattolica usa l’”ideologia di genere” per minacciare i diritti umani». Non occorre aggiungere altro. Ma gli attacchi alla Barca di Pietro non si sono fermati qui. Anche l’associazione Roman Catholic Womenpriests, per bocca della “sacerdotessa” sudafricana Dianne Willman, ha lanciato le proprie accuse, sostenendo che «il rifiuto dell’ordinazione sacerdotale delle donne nella Chiesa non è altro che un “apartheid di genere”, facendo un paragone con i crimini commessi durante l’apartheid sudafricano».
ABORTO «DIRITTO INTERNAZIONALE»
Accanto agli interventi in salsa gender, non è mancata la trattazione del tema dell’aborto, che vede proprio la CSW impegnata nel portare avanti l’istanza per cui l’uccisione dei bambini nel grembo materno dovrebbe essere considerato un «diritto internazionale». Nel corso della 67esima edizione, la dottoressa sudafricana Tlaleng-Mofokeng, relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto alla salute – qualsiasi cosa questo significhi -, proclamata tra le 100 donne del 2021 dalla BBC e che tra le altre cose si autodefinisce «cattolica canaglia», ha preparato un panel tecnologico sulla salute e sui diritti sessuali e riproduttivi. Che tradotto significa: sesso libero e aborto libero.
A prendere la parola, tra gli altri, Dana Northcraft, direttore fondatore di RHITES – una Ong che, leggiamo sul loro stesso sito, «concentra l’equità per colmare le lacune nella telemedicina per l’assistenza sanitaria riproduttiva attraverso progressi nella politica e partnership» -, la quale si è detta dispiaciuta per il ribaltamento della Rose vs Wade in America.
TOLLERANZA, MA CON CHI SI VUOLE
Come si diceva, nulla di nuovo sotto il sole. La Commissione delle Nazioni Unite sulla condizione giuridica e sociale delle donne non ha fatto altro che ratificare nuovamente una politica Onu oramai tristemente nota: tutto è tollerato e accettato, tranne chi difende i principi non negoziabili. In quel caso, il mondo culturale che fa della tolleranza, dell’apertura e del dialogo la cifra fondante del proprio agire, abbassa la scure della censura verso valori considerati «dannosi» e «discriminatori» (Foto: Facebook , Tlaleng-Mofokeng/Pixabay).
Potrebbe interessarti anche