È notizia di questi giorni l’arresto ai domiciliari del vescovo delle diocesi di Matagalpa ed Estelí, monsignor Rolando Álvarez. L’ordine è arrivato da Rosario Murillo, da 5 anni la vicepresidente nonché moglie del dittatore del Nicaragua, Daniel Ortega. Dalla polizia emerge che il motivo dell’arresto sarebbe l’accusa di “complotto” al regime. Regime che ha ormai imprigionato tutti gli ambiti della vita civile riducendo la politica a un partito unico e cacciando numerose Ong dal Paese, fino ad arrivare all’espulsione delle suore di Madre Teresa di Calcutta.
In circa quattro anni, dal 2018, si registrano 200 profanazioni a chiese cattoliche, tra saccheggi, minacce di morte e chiusure di emittenti cattoliche. In Nicaragua oggi non esiste libertà di religione, se pensiamo che tutte le omelie delle messe vengono registrate dai servizi segreti sandinisti. Lunedì scorso il regime sandinista ha chiuso sette stazioni radio diocesane, inclusa la Radio Católica di Sébaco, città dove padre Uriel Vallejos è barricato oramai da quasi una settimana all’interno della sagrestia della sua chiesa, occupata dalla polizia del cognato di Ortega.
Monsignor Álvarez è infatti il terzo sacerdote imprigionato da Ortega negli ultimi due mesi, il primo vescovo. «Sotto gli auspici delle più alte autorità della Chiesa cattolica, la diocesi di Matagalpa, guidata dal vescovo, monsignor Rolando José Álvarez Lagos, utilizza i media e i social network per organizzare gruppi violenti, incitandoli a compiere atti di odio contro la popolazione, provocando un clima di ansia e disordine, alterando la pace e l’armonia nella comunità con lo scopo di destabilizzare lo Stato del Nicaragua e attaccare le autorità costituzionali. Questi soggetti approfittano del loro status di leader religiosi per incitare a ‘commettere atti di odio’ e violenza per ‘destabilizzare’ il Paese», recita testualmente dal comunicato della dittatura.
A rompere il silenzio sull’arresto una breve dichiarazione della Conferenza episcopale del Nicaragua esprime vicinanza al vescovo e si dichiara aperta a collaborare con le autorità «per prendersi cura di questo grande bene universale […] così costruiamo quella Civiltà d’Amore, di cui papa san Giovanni Paolo II ci ha sempre parlato». Prosegue poi il comunicato firmato da monsignor Carlos Herrera e dal cardinale Leopoldo Brenes: «Data la situazione in cui vive il nostro fratello nell’ episcopato […] vogliamo esprimere la nostra fraternità, amicizia e comunione episcopale con lui, poiché questa situazione tocca i nostri cuori come vescovi e Chiesa nicaraguense. Se un membro soffre, tutti soffriamo con lui (1Cor 2,26)». Il comunicato è stato rilasciato domenica 7 agosto, quattro giorni dopo che monsignor Álvarez ha lasciato la curia col Santissimo Sacramento davanti a una postazione di polizia che circondava l’area impedendo di svolgere l’Eucarestia.
Ieri monsignor Álvarez ha celebrato la messa dalla reclusione, «Sono indagato, non so per che cosa», ha denunciato, aggiungendo poi che «la paura paralizza, la disperazione ci auto-seppellisce e l’odio è la morte del cuore» e ringraziando quanti gli sono vicini con le preghiere anche attraverso i media. Ha poi affermato di «mantenere la gioia, la forza e la pace interiore», continuando «a mostrare al mondo la sua capacità di dialogo, armonia, comprensione, riconciliazione, amicizia, fratellanza, libertà e pace» e ribadendo la sua «fiducia che il Signore riporterà la pace in Nicaragua».
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