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22.12.2024

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Scuola al via, ecco il segreto per non farsi prendere dall’ansia
news
13 Settembre 2023

Scuola al via, ecco il segreto per non farsi prendere dall’ansia

Settembre è come se fosse un lunghissimo lunedì, tutto riprende, tutto riparte. E la settimana in corso è come se fosse un unico giorno, il primo giorno di scuola. Bambini e ragazzi tornano in classe dopo l’estate, carichi di aspettative, ma anche carichi di ansia. In rete – così come sui giornali e in tv – spopolano articoli e video che fotografano questo stato di agitazione e affanno e con esso i consigli “per combattere lo stress da rientro”, sui social spuntano le foto di bimbi con lo zainetto accompagnati da frasi dei genitori che sembrano salutare il pargolo che va in trincea. Alunni e studenti sono in ansia, i genitori sono in ansia, e gli insegnanti, non potendo esser da meno, un po’ in ansia lo sono anche loro.

Renzo Dallapiccola, 63 anni e un diploma da ragioniere in tasca, fa il bidello in provincia di Trento, dove la scuola è iniziata lunedì. Commentando il primo giorno di scuola con una testata locale ha dichiarato che secondo lui c’è troppa ansia, tra i ragazzi e non solo. Abbiamo quindi interpellato il nostro esperto ufficiale di ansia, Roberto Marchesini, e a lui abbiamo chiesto, ma davvero l’ansia da primo giorno di scuola, quell’eccitazione mista ad attesa che tutti conosciamo, è aumentata nel corso degli anni? O si è addirittura trasformata in qualcosa di diverso?

«Secondo me Renzo ha ragione. L’ansia del primo giorno di scuola era più eccitazione, emozione, curiosità e un po’ di timore: era il primo ingresso nel mondo dei grandi, il primo distacco dalla famiglia, una specie di debutto in società. Ma non ricordo che qualcuno provasse ansia e ai livelli attuali. Ora il primo giorno di scuola è come l’inizio di Hunger Games, una spietata gara a eliminazione nella quale chi arriva ultimo (o non arriva primo) viene abbattuto come un cavallo azzoppato. Sembra che abbiamo importato il modello scolastico giapponese, un inferno iper-competitivo; forse non è un caso che il fenomeno degli hikikomori, gli auto-reclusi in casa perché non reggono la pressione, è arrivato anche da noi. La competizione, ormai, inizia dall’asilo, anzi: dal nido. Pare sia difficilissimo trovare un nido dove ai bambini non venga insegnato l’inglese. Anche il mondo dei piccoli è diventato una jungla, dove vige la lotta per la sopravvivenza».

Molti genitori sono alla ricerca di modi per prevenire questi picchi di ansia oppure dei rimedi per combatterla, lei cosa consiglia?

«Il mio consiglio ai genitori è di ragionare sulla propria ansia, piuttosto che su quella dei bambini. Davvero i voti sono così importanti, più importanti della serenità e della salute dei bambini? Davvero vogliamo che i nostri figli siano «bravi» in una scuola ideologizzata? Se noi adulti non siamo eccellenti ma mediocri, perché dovremmo chiedere l’eccellenza ai nostri figli? Perché diamo così tanta importanza alla scuola? Sappiamo tutti quando e perché è nata la scuola obbligatoria e “gratuita”, così come sappiamo che l’istruzione non coincide né con la cultura né con l’educazione e che la scuola non garantisce un lavoro comodo e ben remunerato né una vita felice; siamo consapevoli che la scuola, frequentemente se non sempre, indottrina i nostri figli con principi e valori che non sono quelli della famiglia d’origine. Non varrebbe la pena di considerare la scuola semplicemente come un obbligo inevitabile e dedicarsi in prima persona all’educazione dei propri figli?»

Molti genitori sono i primi a essere in preda all’ansia quando la scuola inizia, un misto tra aspettative per le performance del figlio, carico mentale nell’incastrare lavoro, scuola e attività varie, ma è solo questo o c’è qualcosa di più profondo a suo modo di vedere?

«In realtà, anche i genitori soffrono a causa dell’iper-competitività della nostra società. Negli ultimi anni ho seguito diversi casi di burn-out lavorativo o di voluntary resignation. Abbiamo accettato un modello disumano per tutti, grandi e piccini; la cosa peggiore è che non abbiamo protetto i bambini da questo modello».

Molto lontano arriva l’eco, che speriamo rimanga solo l’eco, dell’ipotesi di nuove misure restrittive in classe se i casi di Covid tornassero ad aumentare, che cosa causerebbe a livello psichico in bambini e adolescenti?

«Ci siamo tutti resi conto degli effetti disastrosi delle politiche anti-covid degli anni scorsi sui bambini. Il più importante è che molti bambini e ragazzi hanno abbandonato, speriamo non per sempre, la vita sociale, all’aria aperta, il gioco. Molti non escono più, alcuni hanno difficoltà persino ad andare a scuola: dei piccoli hikikomori, insomma. Inoltre – mi riferisco solo agli effetti più macroscopici – è l’incredibile vuoto didattico e cognitivo che questi anni hanno lasciato».

Lei cosa consiglia, quindi?

«Dare alla scuola la giusta importanza (cioè quasi nulla); curare la socialità, il gioco spontaneo, la vita all’aria aperta e il movimento; stare il più lontano possibile dagli schermi (televisore, computer, cellulari, tablet…); (ri)leggere il racconto Triste domenica (da Don Camillo e il suo gregge, di Guareschi); scrivere un foglietto e appendere sullo sportello del frigorifero le seguenti parole: «Il valore del papà e della mamma non si misura con il loro stipendio; il valore dei bambini e dei ragazzi non si misura con i voti scolastici; buttare il televisore».

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