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26.12.2024

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Sargentini sommersa di critiche per aver criticato il ddl Zan: «Non si può parlare»
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4 Luglio 2020

Sargentini sommersa di critiche per aver criticato il ddl Zan: «Non si può parlare»

Monica Ricci Sargentini, giornalista del Corriere della Sera, femminista radicale e donna di sinistra si è esposta contro il ddl Zan, ma è stata subito attaccata… Il Timone l’ha raggiunta per rivolgerle qualche domanda, anche in segno di solidarietà per quanto ha subito semplicemente per aver espresso la propria opinione.

Come mai è finita al centro delle polemiche, con anche chi le ha dato dell’«omofoba»?

«È successo su Facebook, sulla bacheca della mia amica Paola Concia, che è una ex deputata del Pd ed è anche una donna lesbica. Lei ha scritto un post dicendo che non esiste l’eterofobia, in reazione alla proposta di qualcuno di fare una legge contro l’eterofobia, e che spera che la legge Zan passi. Io ho scritto semplicemente: “Io spero che non passi”. Una persona mi ha chiesto il perché e ho spiegato le mie ragioni, che poi sono quelle di molte associazioni femministe, che non vogliono che passi il concetto di identità di genere e che non vogliono che venga inserito il concetto di misoginia all’interno di una legge sull’omotransfobia, come se le donne, che sono più della metà degli esseri umani, fossero una costola della galassia Lgbtq+. Ho esposto le mie ragioni in modo molto pacato, ma subito una persona mi detto che sono “omofoba”, un’altra che sono “transofoba”… A quel punto è intervenuta la Concia dicendo che dovevamo stare tutti calmi, pure io, ma io non avevo detto nulla, quindi poi mi sono defilata dal dibattito, che però è continuato. Una delle accuse più in voga che mi rivolgono è: tu, che sei una donna di sinistra, una femminista, stai dando il fianco a quelle che sono le parti conservatrici della società che, nella mente di quelli che parlano, vorrebbero riportare il Paese indietro. Purtroppo ho capito che non si può parlare, perché se dici che sei contro questa legge vieni immediatamente attaccato…».

Le realtà femministe hanno mai chiesto una legge contro la misoginia?

«No, non l’abbiamo chiesta perché non la riteniamo necessaria. Come io, in verità, non ritengo necessaria neanche questa legge, nel senso che secondo me deve cambiare culturalmente il Paese, ma non lo si fa con una legge. Io sono una che non vuole che sia limitata la libertà di espressione, che non vuole che siano rimosse le statue, che non vuole che siano bruciati i libri o messi all’indice… io penso che ognuno debba poter dire la propria opinione. Queste sono leggi liberticide, secondo me. Se tu picchi una persona, è chiaro che è un reato!

Comunque, anche se volessimo chiedere una legge sulla misoginia, la chiederemmo noi. Non serve che mettano la parola misoginia nel loro testo in un secondo momento, quando scoppiano le polemiche, per poi dire che questa legge è anche per noi. Non è cosi: basta vedere cosa succede in Inghilterra, o negli Stati Uniti, dove le donne non posso più parlare, dove persone sono state licenziate semplicemente per aver detto che le donne partoriscono, dove non si può più dire “donne incinte” ma solo “persone incinte”… siamo veramente alla follia. Io non voglio che l’Italia diventi così».

Un altro aspetto problematico della legge è poi quello dell’utero in affitto…

«Sì, questo è un altro dei motivi per cui diciamo di “No” a questa legge. Zan & Co dicono che nei loro intenti vengono puniti soltanto gli “atti di odio”, ma bisogna vedere cosa vuol dire questa espressione: se poi io dico che solo le donne partoriscono, che non si può fare commercio di bambini, i quali non possono essere comprati o venduti, o che le madri non sono dei contenitori, potranno dire che sono “omofoba” perché nego la paternità a due uomini e quindi potrà diventare anche quello un atto d’odio.

Ma la verità è che alla base di tutto questo c’è il “No” di noi femministe radicali al sex work, come chiamano la prostituzione, e all’utero in affitto, perché questi sono i due grandi temi che hanno diviso le lesbiche dai gay in Italia, ma anche in altre parti del mondo».

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