Gilbert Keith Chesterton, il famoso e brillante scrittore convertitosi al cattolicesimo nel 1922, scrisse un bellissimo libro su San Tommaso d’Aquino, che Etienne Gilson considerava «senza possibilità di paragone il miglior libro mai scritto su san Tommaso», e aggiungeva: «nulla di meno del genio può rendere ragione di un tale risultato». In esso Chesterton sosteneva che se su San Francesco d’Assisi egli aveva tracciato un profilo, su San Tommaso non sarebbe bastata una mappa, tanta era la grandezza sia fisica che spirituale del Doctor Angelicus.
Per lo scrittore inglese San Tommaso aveva riportato il senso comune nella filosofia e che esso consisteva nel mettere «al lavoro due agenti: la realtà e il riconoscimento della realtà; il loro incontro è una sorta di matrimonio. Anzi, è un matrimonio vero e proprio, perché è fertile; l’unica filosofia al mondo che sia veramente fertile». Sintetizzava bene questo punto di vista dicendo che «la filosofia di San Tommaso si basa sull’universale convinzione comune che le uova sono uova», tutt’altro che una banalità. Altro carattere dell’Aquinate era che egli «credeva con convinzione granitica nella vita, e anche in qualcosa che poi Stevenson definì il grande teorema della vivibilità della vita».
La stesura dell’opera segnò un grande cambiamento in Chesterton, che imparò a memoria la sequenza del Corpus Christi, e ne recitava ripetutamente a memoria, numerose volte, le ultime due strofe battendo il pugno sul bracciolo della sedia ove abitualmente sedeva in casa, ed indugiava soprattutto sul verso «in terra viventium» e commentando «Sì, amici miei, noi vedremo tutte le cose buone nella terra dei viventi». Disse pure che «su una mappa grande come la mente dell’Aquinate, la mente di Lutero sarebbe quasi invisibile» e che «San Tommaso era sano di mente e Hegel era pazzo».
Tutto questo dice quanto grande fosse il Dottore Angelico nella sua personale considerazione. Diceva ancora: «La fede di san Tommaso è sola nel dichiarare con vivacità e vigore che la vita è una storia viva, con un inizio e una fine grandiosi. Affonda le sue radici nella primordiale gioia di Dio e si realizza nella felicità ultima del genere umano. Si apre con l’immenso coro in cui i figli di Dio urlano di gioia e si conclude con quel cameratismo mistico adombrato dalle antiche parole che suonano come una danza arcaica: “Perché la Sua letizia sono i figli degli uomini”».
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