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San Francesco povero perché di Cristo
NEWS 4 Ottobre 2021    di Redazione

San Francesco povero perché di Cristo

Oggi, in occasione della festa di San Francesco di Assisi, patrono d’Italia, pubblichiamo ampi stralci dell’omelia pronunciata dal cardinale Carlo Caffarra (1938-2017) nella Cappella Papale della Basilica di San Francesco in Assisi il 4 ottobre 2005

di Carlo Caffarra

“Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”. Carissimi fedeli, offrendo il divino sacrificio ci uniamo alla lode e alla benedizione che Cristo fa salire al Padre, perché ha rivelato “queste cose” a Francesco. Quali cose? Che niente conta – come ci dice l’Apostolo – se non “l’essere nuova creatura” in Cristo. Niente conta alla fine se non l’avere conosciuto Cristo, poiché non ci può essere per l’uomo “altro vanto che nella Croce del Signore nostro Gesù Cristo”.

Questo è stato l’avvenimento centrale della vita di Francesco: l’essere stato afferrato da Cristo così profondamente da porre in Lui tutto il senso della sua esistenza, comprendendo tutta la realtà da questo punto di vista. Nel suo Testamento Francesco descrive questo “capovolgimento di prospettiva” con le seguenti parole: “ciò che mi sembrava ripugnante si è mutato in me in dolcezza dell’anima e della carne”. Come era accaduto prima all’apostolo Paolo: “Ma quello che poteva essere per me un guadagno l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù” [Fil 3,7-8].

È in questa luce, il rapporto di Francesco col suo Signore, che comprendiamo il vero significato del “capovolgimento di prospettiva” più conosciuto: quello riguardante la scelta della povertà. Francesco fu veramente povero. Non cessava mai di raccomandare e chiedere ai suoi frati la povertà. Nella “Ultima volontà inviata a Santa Chiara” egli scrisse: “Io, piccolo frate Francesco, voglio seguire la vita e la povertà dell’altissimo Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre”. Ciò che conquista Francesco non è un qualsiasi ideale o progetto di povertà; ancor meno un’utopia sociale. È la “povertà” di chi è “altissimo Signore”: è l’umiliazione di Dio nel mistero della sua Incarnazione. Afferrato e conquistato da Cristo, egli non ha più bisogno di niente. La povertà è il segno esterno di chi ha fatto una rinuncia ben più radicale, l’unica assolutamente necessaria: a se stesso per far posto a Cristo per seguirne interamente la vita. Solo chi si svuota di se stesso può essere riempito della pienezza della vita che è Cristo.

Tutta questa straordinaria esperienza non avviene fuori o contro la Chiesa. Per una ragione che Francesco espone nel modo più semplice e più profondo: “niente in questo mondo io vedo, secondo il corpo, dello stesso altissimo Figlio di Dio, se non il suo santissimo corpo e il suo santissimo sangue”. E a causa di questa presenza reale di Cristo che Francesco scrive: “e io voglio temere e amare e onorare loro [: cioè i sacerdoti] e tutti gli altri come miei signori”. L’intuizione è centrale per capire la fede cristiana: ministero apostolico ed Eucarestia sono strettamente e necessariamente connessi. Essi sono i sacramenti della presenza di Cristo nella sua Chiesa “e neppure voglio considerare il loro peccato, perché in loro discerno il Figlio di Dio, e sono miei signori”. Francesco non è un evaso verso esperienze spiritualistiche. Egli vuole, desidera vedere il Corpo di Cristo: lo vede nell’Eucarestia donata dal ministero sacerdotale.

Carissimi, guardiamo a Francesco. Egli ci mostra che il valore della nostra vita dipende dal nostro rapporto con la persona di Cristo e che questo rapporto è oggi possibile perché esiste la Chiesa apostolica ed eucaristica (…).


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