Oggi a Bologna, dove riposano le sue spoglie mortali, è la festa di San Domenico di Guzman, fondatore dell’Ordine dei Predicatori, pubblichiamo alcuni stralci in una nostra traduzione di lavoro dell’omelia pronunciata dall’Arcivescovo Anthony Fisher, OP, nel Solenne Pontificale per l’Ottocentenario della Morte di San Domenico, Basilica di Santa Maria, Sydney, Australia, 3 agosto 2021 (fonte: www.op.org)
di Mons. Antony Fischer*
[…] San Domenico, l’unico frate presente al “Concilio dei Frati” o “Concilio Maggiore”, come era noto il IV Concilio Lateranense. Questo Concilio, svoltosi nel 1215, comprendeva il più grande papa medievale, Innocenzo III, 71 patriarchi e metropoliti, altri 412 vescovi, circa 900 tra abati, priori e periti (consulenti teologici), insieme agli inviati del Sacro Romano Impero e ai monarchi.
In un’epoca di vertiginosi cambiamenti sociali e culturali, alcuni cercarono un significato nella saggezza secolare delle università, alcuni nella fiorente ricchezza e altri nelle spiritualità “new age” dei catari, dei valdesi e delle beghine. Lo scandalo del lusso, dell’immoralità e della pura ignoranza del clero aveva reso l’Europa un terreno fertile per la rinascita di un antico dualismo. Catari e Albigesi sviliscono il mondo materiale, mettono in dubbio l’Incarnazione, la Passione e la Risurrezione di Cristo, negano l’efficacia dei sacramenti e la promessa della risurrezione e banalizzano la vita morale del corpo. Molti avevano “prurito alle orecchie” e rifiutavano la sana dottrina, vagando dietro ai miti.
Il Laterano IV stabilì un piano di riforma della Chiesa. In settantuno costituzioni riaffermava la fede cattolica e affrontava la riforma della pratica sacramentale, la formazione, la nomina e la condotta dei vescovi, del clero e dei religiosi, l’amministrazione della Chiesa e i rapporti con i non latini e con i non cristiani. Ma cosa c’entrava tutto questo con i frati? Ebbene, al Concilio era presente il vescovo Foulques di Tolosa, insieme al suo perito, Domingo de Guzmán di Caleruega. Per più di un decennio Domingo de Guzmán si era impegnato nella predicazione e nel dibattito nel campo di missione della Francia meridionale, insieme al vescovo Diego de Acebo di Osma e poi a Foulques. Qualche anno prima aveva fondato una comunità religiosa di donne e, qualche mese prima, una comunità di uomini. Quale fu il contributo del vescovo e del suo perito alle discussioni del Consiglio non è noto. Ma alcuni dei canoni emersi erano particolarmente compatibili con la missione in evoluzione di Domenico.
Il Concilio ha insistito sul fatto che la celebrazione della liturgia e la cura pastorale richiedono un’educazione teologica e ha ordinato ai vescovi di essere più esigenti con le vocazioni e di fornire una migliore formazione. “Quando si tratta dell’ordinazione sacerdotale è preferibile avere pochi ministri buoni piuttosto che molti cattivi, perché se un cieco ne guida un altro, cadranno entrambi nella fossa!” dicevano i padri conciliari. La legge ecclesiastica esistente che richiedeva l’istruzione gratuita per il clero e per i poveri nelle scuole della cattedrale fu rinnovata e le chiese metropolitane dovevano ora nominare un teologo per insegnare le Scritture e la teologia pastorale.
Il canone 10 ha evidenziato la necessità di una buona educazione nella Scrittura e nella teologia per una “sana predicazione”. […] Il Concilio ha quindi decretato che “i Vescovi nominino uomini idonei per svolgere vantaggiosamente il compito della sacra predicazione, uomini che siano potenti in parole e opere e che vadano con premura verso il popolo loro affidato… e lo edifichino con la parola ed esempio… [Questi uomini siano] cooperatori non solo nell’ufficio della predicazione, ma anche nell’ascoltare le confessioni e nell’imporre penitenze e in altre cose utili alla salvezza delle anime». Quali che fossero le aspirazioni di Domenico prima del Concilio, era pronto a rispondere con un nuovo ordine religioso “per la predicazione e la salvezza delle anime”.
Dai sinodi della Chiesa possono emergere cose buone! Dal Laterano IV arrivarono i frati mendicanti: i frati minori, i frati predicatori ei frati agostiniani e carmelitani, tutti inventati o rimodellati in risposta all’audace appello del Concilio per una nuova evangelizzazione. Avendo trovato il suo “carisma”, la squadra di Domenico si è diffusa a macchia d’olio. Hanno portato il monachesimo, l’apprendimento e la predicazione sui pulpiti e sui confessionali, sulle strade, nelle città e nelle università e persino al sacerdozio diocesano e alla vita laicale. Osservanze religiose, una forte vita comunitaria, una propensione intellettuale: tutto per alimentare una vita contemplativa, i cui frutti sarebbero stati condivisi con gli altri. In pochi decenni i frati domenicani erano più di 10.000 e altri 3.000 in formazione, organizzato in 590 priorati in 18 province; c’erano 141 monasteri femminili; e l’Ordine stava attirando molti dei più grandi predicatori, insegnanti e mistici dell’epoca, così come un buon numero di eccentrici…
Ma nel 1215 chi avrebbe potuto immaginarlo? A Domenico stesso rimasero solo sei anni per far scrivere e approvare le costituzioni, stabilire la sede centrale a Roma, attraversare l’Europa per stabilire nuove case, mettere in atto una solida formazione per i suoi uomini, continuare la sua cura per le domenicane e organizzare capitoli generali per prendere le decisioni più importanti per l’Ordine nel modo più democratico possibile. Così facendo, si è speso completamente fino a quando, a soli 50 anni, ha fatto quello che diceva sarebbe stato il meglio per l’Ordine: è morto! “Non piangete, figli miei”, disse sul letto di morte dopo aver fatto una confessione generale, “vi sarò più utile dove sto andando di quanto non sia mai stato in questa vita”.
“Tu sei il sale della terra… Tu sei la luce del mondo.” Queste parole del Vangelo di Matteo, date per questa commemorazione, potrebbero suggerire che la vita di San Domenico, e idealmente dei suoi figli e figlie, dovrebbe essere sale e luce.
Per gli antichi il sale era un prezioso alimento base, utilizzato nel culto come disinfettante, come conservante e come esaltatore di sapidità. Per essere salati nella loro predicazione, quindi, è necessario che i domenicani offrano tutto se stessi a Dio nell’adorazione; per disinfettare le anime dal peccato, dal vizio e dal demonio; conservare i Vangeli, la tradizione apostolica e il magistero; e annunciare la Parola con un sapore che attrae e converte i destinatari.
Per gli antichi la luce si opponeva alle tenebre, metteva a nudo la realtà e permetteva di vedere; la luce era simbolo della presenza divina e della grazia, della santità, della salvezza e della gloria, della rivelazione, della sapienza e della speranza. Per essere luce, quindi, è necessario che i domenicani siano realisti e servano la rivelazione divina, che interroghino e comunichino con saggezza sia la realtà che la rivelazione, che facciano risplendere la loro vita comune come testimonianza per gli altri e conducano così le persone alla salvezza e alla gloria. Così, nell’iconografia, Domenico è comunemente mostrato con una luce che brilla sopra la sua testa, indicando queste qualità che hanno reso lui, ei suoi figli e figlie, luce al mondo. […]
+Vescovo di Sidney (Australia)
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