Parlare di Natale e usare l’espressione “buon Natale” sarebbe «presupporre che tutti siano cristiani». Contro questa visione ha reagito con forza e passione François-Xavier Bellamy, l’eurodeputato di Les Républicains (LR) che in un intervento al Parlamento europeo diventato virale, ha pronunciato parole che non hanno solo affossato l’ormai noto documento sulla cosiddetta “comunicazione inclusiva”, ma che hanno costretto molti, laici compresi, a fermarsi a pensare. Il tutto in un discorso di appena due minuti, eppure efficacissimo, infarcito di grandi nomi: da Jean-Paul Sartre (per il quale «si ha il diritto di chiedere che ti venga mostrato il Presepe») a Hannah Arendt.
Bellamy sembra partire da lontano, in realtà arriva subito al succo, non senza fare nomi e cognomi: «“Ci si può chiedere – scriveva Bernanos – se ci saranno ancora le notti di Natale, con i loro angeli e i loro pastori, per questo mondo così estraneo allo spirito dell’infanzia”. Dobbiamo cercare di salvare il Natale, che la Commissione Europea sembrava avesse intenzione di condannare perché il commissario Dalli ritiene che il termine non sia abbastanza “inclusivo”». Per la cronaca, la maltese Helena Dalli, commissario europeo per l’uguaglianza, è colei che ha redatto il documento (poi ritirato perché ritenuto «non maturo», formula che, peraltro, ha solo contribuito ad aumentare perplessità). Lo scritto, com’è noto, era teso a vietare una serie di espressioni ritenute stigmatizzanti in base al genere, all’identità sessuale, all’origine etnica, alla cultura e alla religione. Raccomandava, tra le altre cose, di rimuovere i riferimenti al Natale (sarebbe stato opportuno parlare di generiche «vacanze»), mentre nomi cristiani come «Maria o Giovanni» avrebbero dovuti essere banditi. «È una follia – ha affermato Bellamy – arrivare a odiare le radici che hanno fatto l’Europa». Per poi aggiungere: «Madame Dalli forse l’ha dimenticato: il Natale non è solo il pretesto per le “vacanze invernali”, come dice lei. È il giorno in cui è nato il mondo che ereditiamo, l’inizio della nostra era, il punto di riferimento da cui contiamo i nostri anni».
Il discorso del parlamentare europeo arriva al punto critico (saldandosi perfettamente con ciò che pochi giorni prima, al ritorno del suo viaggio in Grecia, aveva detto Papa Francesco) con questo preoccupato e plausibile passaggio: «Negare ciò che ci unisce significa distruggere ogni possibilità di appartenenza a una cultura comune, ogni speranza di assimilazione, e aprire così la strada alla disgregazione delle nostre società, alle istanze comunitarie che preparano gli scontri futuri». In effetti, quest’ossessione della neutralità, che finisce a sua volta per offendere e discriminare, non è diventata solo «un boomerang per l’immagine della Comissione», come ha giustamente affermato Francesco Ognibene su Avvenire, ma – questo è il punto esplosivo mosso anche dal Papa – alla lunga può seriamente far implodere l’intero progetto di Unione Europea. Non a caso Papa Bergoglio, dopo aver ricordato non senza una certa ironia che «il documento della UE sul Natale è un anacronismo», uno scritto da «laicità annacquata» (e dopo aver citato i precedenti e “illustri” tentativi devastatori portati avanti da Napoleone, Hitler e Stalin), ha aggiunto che «l’Europa deve stare attenta a non aprire la strada alle colonizzazioni ideologiche» perché «questo potrebbe arrivare a dividere i Paesi e a far fallire l’Unione europea».
Questa chiara convergenza tra un politico cattolico e realista, che vive la sua missione come «forma più alta di carità», e il magistero di una Chiesa «esperta di umanità», è ciò che non pochi giornali francesi in questi giorni stanno mettendo a fuoco. A probabile riprova che l’unico vero umanesimo – da tutti sollecitato come provvidenziale rimedio al baratro in cui sta sprofondando l’Europa – è l’umanesimo cristiano.
La lezione di François-Xavier Bellamy al Parlamento europeo si è conclusa con queste parole: «Tutte le “signore Dalli” di Bruxelles non impediranno mai che il giorno di Natale gli uffici della Commissione siano vuoti a causa dell’infinita speranza di cui ha parlato Hannah Arendt – prova che il Natale è inclusivo – attraverso quella che ha descritto come la più grande delle buone notizie , la buona novella dei Vangeli: “Ci è nato un bambino”» (qui Bellamy, filosofo e docente prima che politico, ricorda la visione in cui Hannah Arendt mette a fuoco la parola “inizio”, cioè la possibilità di vedere le cose con occhi nuovi. «Ho ancora in testa e in corpo – scriveva nel suo Diario la filosofa tedesca – l’Alleluja di Haendel, per la prima volta ho capito la grandezza di “ci è nato un bambino” […] Perché è importante l’inizio? Perché il mondo riappare per la prima volta, viene reinterpretato con categorie nuove»). «Onorevole Dalli – ha poi chiosato un fulminante Bellamy nell’emiciclo – in verità non abbiamo bisogno di salvare il Natale: è il Natale, anche quest’anno, che salverà noi. Buon Natale».
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