2.700 leader mondiali da 130 Paesi, 52 Capi di Stato: bastano questi numeri per capire quanto rilevante sia il meeting del del World Economic Forum, la cui 53esima edizione inizierà oggi (e durerà fino a venerdì) a Davos – nota cittadina delle Alpi svizzere, nel Cantone dei Grigioni, molto nota come località sciistica. Sarà presente anche l’Italia, con una delegazione che sarà composta per lo più da top manager e imprenditori con anche la partecipazione del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara.
Molto vasta la rappresentanza – accanto alla Presidente della Commissione Europea, all’Amministratore Delegato del FMI, al segretario generale della Nato, ai vertici delle Fbi e MI6 nonché all’editore del New York Times – dei colossi dell’economia globale, con i Ceo di Amazon, BlackRock, JP Morgan, Pfizer e Moderna. Come si può capire, la particolarità di questi eventi non è tanto la presenza dei «potenti della Terra» bensì quella, si potrebbe dire con un gioco di parole, dei «veri potenti della Terra».
Ed è quest’ultimo, probabilmente, l’aspetto più inquietante; più ancora, si potrebbe dire, della segretezza di un evento che è molto relativa non solo perché tutti i media ne parlano, ma anche perché svariati meeting sono seguibili in diretta streaming. Sì, ciò che dovrebbe preoccupare di Davos – convegno annuale che debuttò nel 1971 – è davvero questo: non la presenza della politica, ma il rischio di un asservimento della stessa a decisioni o linee guida maturate in tali contesti, del tutto indipendenti dai processi democratici.
A rivelarlo chiaramente, e forse incautamente, era stato un insospettabile come Jovanotti, il quale, in un incontro all’Università di Firenze nel giugno del 2015, dichiarò di aver partecipato ad summit blindato con parecchia gente potente: «La cosa interessante di questo incontro è che c’erano premi Nobel, Ceo, amministratori delegate di case farmaceutiche, tecnologiche, femministe, ma non c’era un politico. C’era il capo della banca mondiale». Perché non c’erano i politici? «Perché non servono. Le cose non si decidono più a livello politico», l’ammissione sconvolgente del cantante.
Ad onor del vero, in quella occasione Jovanotti si riferiva al circolo Bilderberg, ma non si può dire che la natura del meeting di Davos – con il World Economic Forum presieduto da Klaus Schwab, autore di una pubblicazione non esattamente tranquillizzante sin dal titolo come COVID-19: The Great Reset – sia meno elitaria e, soprattutto, meno sinistra rispetto al rischio dell’offuscamento dei processi decisionali che, fino a prova contraria, dovrebbero maturare in seno ai Parlamenti e non già essere semplicemente ratificati dagli stessi.
Tanto più che, come pure un giornale come Repubblica stessa puntualizza, sul tavolo del World Economic Forum quest’anno ci saranno «le tante emergenze in corso, dalla pandemia non ancora sconfitta all’economia in crisi, dalla guerra al clima». Tutte cose, cioè, sì molto importanti ma proprio per questo che dovrebbero essere discusse alla luce del sole: nei Parlamenti, quindi. Il fatto che ciò avvenga invece in un evento dove, tra un meeting e l’altro, i «veri potenti della Terra» possono stringere accordi non sempre trasparenti, ecco, non può non far porre a chiunque abbia a cuore della democrazia alcuni interrogativi. Molto seri. (Foto: Imagoeconomica)
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