«Riduciamoci per salvare il pianeta». I grandi media, forse temendo d’alimentare perplessità sull’evento, stanno sorvolando, ma alla Conferenza internazionale sul clima (Cop 26 di Glasgow) c’è chi ha avanzato apertamente una simile proposta ai governi. Sono realtà di matrice femminista quali Women and Gender Constituency e Women Deliver le quali, essendo state escluse dal vertice delle Nazioni Unite sul clima di Parigi nel 2015, ora cercano il loro riscatto; e ci sono riuscite se si pensa che, ieri, pure il Corriere della Sera spendeva un’intera pagina, la 18, per informare i suoi lettori che ora «il cambiamento climatico è un tema femminista».
Peccato che il primo quotidiano italiano e la sua inviata si siano scordati di riferire che, tra le ricette che certe sigle femministe stanno proponendo, all’interno del discorso sui «diritti delle ragazze e delle donne» – di cui ha per esempio parlato Divya Mathew di Women Deliver -, echeggi la «pianificazione familiare volontaria». Una soluzione che le Ong femministe indicano come «efficace» per «ridurre i gas serra» e per «rallentare la crescita della popolazione». Chiaro? Per salvare la Terra dobbiamo, dice in modo felpato chi parla a Glasgow, iniziare a fare meno figli. Una soluzione drastica ma, attenzione, né nuova né fondata.
Anche in «World Scientists’ Warning of a Climate Emergency 2021», intervento di un gruppo di scienziati pubblicato sulla rivista BioScience – che vanta come editore nientemeno che la Oxford University Press -, è scritto chiaramente che bisogna intervenire sulla «popolazione umana, stabilizzando e riducendo gradualmente la popolazione». Come? «Fornendo pianificazione familiare volontaria e sostenendo l’istruzione e i diritti per tutte le ragazze e le giovani donne». La stessa, pressoché identica ricetta femminista proposta ora alla conferenza sul clima.
Analogamente, un anno e mezzo fa la scrittrice femminista tedesca Verena Brunschweiger aveva esortato i tedeschi a non avere più figli per salvare il pianeta; in una intervista rilasciata a Neue Osnabrücker Zeitung, aveva infatti sostenuto che «siamo sull’orlo del collasso ecologico» e che l’unica soluzione è «rinunciare a riprodursi». Nel novembre 2019, invece, a far notizia erano stati dei cartelloni apparsi a Londra contenenti un invito molto chiaro: «Immagina una città meno affollata, fai la tua parte…sterilizzati!».
Certo allarmismo per «rallentare la crescita della popolazione» non è dunque affatto nuovo. Serpeggia da tempo in casa progressista pur essendo, attenzione, del tutto privo di fondamento. Primo perché la crescita della popolazione sta già rallentando – e in alcuni Paesi, inclusa l’Italia, si assiste già a inquietanti dinamiche di spopolamento -, secondo perché la crescita demografica non è affatto associata all’inquinamento.
Non solo: neppure la crescita economica comporta ispo facto inquinamento pericoloso per il pianeta. Si pensi che, tra il 2014 e il 2016, l’economia mondiale è già riuscita a crescere senza aumentare le demonizzate emissioni di anidride carbonica; e questo, nonostante la crescita, sempre in quegli anni, della popolazione mondiale: da 7,1 a 7,4 miliardi.
Tutto ciò per dire, anzi ribadire, che certi deliri antinatalisti – per quanto ascoltati, speriamo non troppo seriamente, dagli esponenti dei governi – non sono né nuovi né fondati, ma solo figli di una cultura dominante che, non potendo più odiare Dio, nel senso che la religione in Occidente è già in crisi, si è messa ad odiare direttamente l’uomo. Il pretesto della lotta all’inquinamento e ai gas serra è, appunto, solo un pretesto.
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