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Ribellarsi alla società  omosessuale
NEWS 29 Novembre 2017    

Ribellarsi alla società omosessuale

di Mario Palmaro
 

Molte persone ancora non lo hanno capito, ma dietro i Pacs c’è un’idea terrificante: educare i nostri figli sin dalla più tenera età alla normalità dei disordini della sfera sessuale. La maestra di scuola e i libri per l’infanzia saranno modificati: addio alla famiglia tradizionale per far posto a “le famiglie” e alla normalità delle coppie omosessuali.

 
Alcuni obiettano: che cosa c’è di tanto grave nel riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali? Che facciano pure i Pacs, o roba simile – uno pensa – tanto, per me, per mia moglie, per i miei figli non cambierà niente. Ed è qui che si consuma un errore di valutazione clamoroso. In realtà, il riconoscimento delle unioni omosessuali avrà conseguenze tragiche per la vita quotidiana di tutti. Stiamo per assistere a un vero e proprio terremoto che promette di travolgere definitivamente ciò che resta della nostra civiltà. Leggete questo articolo fino in fondo, e capirete che non si tratta di esagerazioni.

Perché qualcuno vuole questo riconoscimento?
Negli Stati moderni, l’omosessualità non è vietata da alcuna legge. Dunque, non siamo nemmeno di fronte alla situazione che caratterizzava le famose “battaglie per i diritti civili” del divorzio e dell’aborto, comportamenti che erano censurati dalla legge. Nel caso delle unioni omosessuali, lo Stato lascia fare, tollera, non impedisce. E le questioni controverse, tipo la visita in ospedale al “compagno”, o l’eredità all’“amico”? Problemi che si risolvono con il buon senso e con patti di diritto privato fra le parti. Ma, allora, che cosa si cela dietro a questa campagna mediatica e ideologica? È presto detto: la parificazione culturale di ogni tipo di unione affettiva. Bisogna tendere il tessuto dell’ordinamento giuridico sulla famiglia fino al punto di provocare uno strappo, un buco nel quale penetri poco alla volta l’idea che uomo insieme a donna, uomo insieme a uomo e ogni altra combinazione sono per la collettività la stessa cosa. In principio non si dice questo, e anzi si afferma il contrario: si dà a bere che il matrimonio è un’altra cosa, e che si vogliono riconoscere solo alcuni diritti alle coppie di fatto. Ma sono tutte frottole: il vero scopo è far implodere la famiglia, procedendo per passi progressivi alla equiparazione di ogni forma di convivenza allo status matrimoniale.
 
L’omosessualità come normalità
Gli ambienti che promuovono il riconoscimento delle unioni omosessuali sono gli stessi che negli anni Settanta avevano decreta-to la fine del matrimonio: i partiti e gli intellettuali marxisti, che all’epoca denigravano la famiglia come “struttura borghese”; i liberal e i radicali di destra e di sinistra, che hanno sempre predicato il “libero amore”; i cattolici progressisti, che nel referendum del 1974 in Italia si schierarono a favore della legge sul divorzio. Oggi, questi stessi ambienti anti-famiglia sembrano aver capovolto la loro prospettiva: vogliono che tutto diventi “famiglia” e “matrimonio”. Si coalizzano per pretendere che chi non ha chiesto di sposarsi (un uomo e una donna conviventi) e chi non può sposarsi (una coppia di omosessuali) si vedano riconoscere dei diritti come conseguenza della loro convivenza. Perché lo fanno? Non certo per reverente attrazione verso il matrimonio. Perseguono semmai lo scopo opposto: usare l’etichetta dell’istituto matrimoniale (chiamato anche con altri nomi: non fa alcuna differenza) per rendere pubblico il riconoscimento delle unioni patologiche. Si tratta di un’operazione piuttosto astuta, che insegue tre obiettivi essenziali: normalizzare, elevare a modello, educare.

 
a) Normalizzare: il primo passo è rendere normale ciò che normale non è. Che due donne o due uomini vivano pubblicamente more uxorio (vanno a fare la spesa insieme, si tengono per mano, prenotano una vacanza in albergo) non è indubbiamente una cosa normale. La legge ovviamente non lo impedisce. Ma c’è una bella differenza fra il tollerare un fatto e il ricoprirlo di una veste giuridica. Dal giorno in cui in uno Stato viene riconosciuto anche un solo diritto a due omosessuali non in quanto persone (ci mancherebbe) ma in quanto conviventi, si dà inizio a un conto alla rovescia, che culminerà con l’abolizione di qualsiasi differenza giuridica fra il “vecchio” matrimonio e ogni altra unione affettiva. La norma renderà – come dice la parola stessa – normale l’omosessualità.
 
b) Elevare a modello: Dalla legge si passerà al costume. Vi ricordate i meccanismi politicamente corretti dei telefilm polizieschi americani? Negli anni Sessanta, in piena rivendicazione dei diritti dei neri, i giudici e gli avvocati della fiction diventarono ossessivamente tutti di colore; poi, negli anni Settanta e Ottanta, in piena rivoluzione femminista, ecco che giudici e avvocati diventarono donne. Ora, prepariamoci a telefilm che esaltano il modello omosessuale, che ci mostrano la bellezza della famiglia gay e che per sovrappiù ci mettono sotto il naso le ipocrisie e le miserie della famiglia tradizionale. Vedrete: i cosiddetti eterosessuali dovranno vergognarsi e promuovere campagne di sensibilizzazione per il loro rispetto.
 
c) Educare: Anche i programmi scolastici dovranno tenere conto della novità. Fra qualche tempo una maestra elementare dello Stato non potrà più insegnare che il matrimonio è l’unione fra un uomo e una donna. Proprio come da qualche decennio non può più insegnare che questo legame è indissolubile. Così, la prof dovrà spiegare che esistono tanti tipi di affetti, e che “non c’è niente di strano se Ugo e Patrizio vivono insieme come la tua mamma e il tuo papà”. I nostri figli torneranno a casa con le idee totalmente confuse, e ci chiederanno conto della nostra anacronistica normalità.

L’omosessualità come pane quotidiano dei nostri bambini
Provate a prendere un libro per le scuole elementari dei vostri figli e controllate la seconda pagina. Potreste scoprire che è stato scritto “rispettando le indicazioni del Progetto Polite per la formazione di una cultura delle pari opportunità e del rispetto delle differenze”. Gli editori che aderiscono a questo progetto sottoscrivono un codice di autoregolamentazione nel quale si adotta la categoria maltusiana dei “generi” (i sessi sono spariti). Un codice che obbliga a rappresentare nei disegni “uomini e donne in attività sia professionali che domestiche”, a “evitare vecchi e nuovi stereotipi che immobilizzano i ruoli”, a garantire “come punto nodale la visibilità delle donne in qualsiasi disciplina”. Insomma: siamo al Minculpop del femminismo militante. Con l’avvento dei Pacs, nulla impedirà che sia adottato un analogo codice per evitare discriminazioni nei testi scolastici contro le coppie omosessuali. Anzi, occorrerà promuovere la parificazione delle “differenti tendenze sessuali”, garantire un certo numero di disegnini che raffigurano “la vita quotidiana delle coppie omosessuali” e, ovviamente, evitare di insistere su “antichi stereotipi legati a idee superate di famiglia come unione fra persone di sesso diverso”. Di più: dovranno essere cambiati anche i libri di fiabe, perché sarà giudicato discriminatorio raccontare storielle dove un coniglietto ha un padre e una madre di sesso diverso. Avremo la nostra brava quota di personaggi dei cartoons che vivranno in famiglie “strane”, dove si sta tanto bene e si vive felici nella “diversità”.

La propaganda omosessuale e l’adolescenza
Gli ultimi studi sull’omosessualità tendono a dimostrare che all’origine di questo complesso fenomeno vi sono non tanto ragioni genetiche o biologiche, quanto cause psicologiche. Questo significa che l’educazione dei bambini e dei giovani, e alcuni errori commessi in questo difficile compito, sono spesso all’origine di tendenze o condotte omosessuali. Se questo è vero, allora significa che la legalizzazione delle unioni omosessuali e la loro normalizzazione nel costume giocheranno un ruolo pericolosissimo per i nostri figli, soprattutto nell’adolescenza. Incontreranno insegnanti di educazione sessuale che li esorteranno a “scegliere senza tabù la loro inclinazione sessuale”, perché essere maschi e femmine “non significa essere eterosessuali”. In questo modo, sarà possibile alle agenzie educative di Stato incentivare la diffusione dei disturbi della personalità e agevolare l’omosessualità.

Un colpo mortale alla famiglia come istituto giuridico
La forza della famiglia e del matrimonio naturale nei secoli è stata la trasmissione di una realtà, viva e concreta, da una generazione all’altra. La famiglia è una comunicazione di esperienza, resa stabile e possibile dalla norma giuridica e religiosa. I bambini scoprono la famiglia facendone essi stessi esperienza, imparano il concetto di padre e di madre e di moglie e marito osservando con i loro occhi queste realtà, nella loro casa e in quella dei compagni di scuola. Il cancro del divorzio e delle convivenze ha certamente assestato un colpo durissimo a questa esperienza, propagandando un’idea malata di famiglia, che infatti genera spesso altre famiglie “malate”, in una catena tragica difficile da spezzare. Ma ora, con lo status giuridico della coppia omosex, si getta sulla testa delle nuove generazioni una bomba atomica culturale: si genera cioè la percezione pratica che la famiglia non esiste più come realtà definibile dalla natura e dalla realtà delle cose. Essa diventa un club, un’associazio-ne che viene ridefinita di volta in volta dalla volontà delle persone. I bambini respireranno immediatamente questa idea, e pur non riuscendo a teorizzarla – come la maggior parte degli adulti – tuttavia la assorbiranno come criterio di giudizio della realtà. Siamo di fronte a qualche cosa di spaventoso, che si inserisce coerentemente nell’orrore del divorzio, dell’aborto e dell’eutanasia di Stato. Ma che ne supera di gran lunga la portata diseducativa: corrisponde alla “soluzione finale” dell’ideologia nichilista e radicale.

Impedire il giudizio morale sulla condotta omosessuale
Se questo articolo vi è piaciuto, conservatelo gelosamente. Magari diffondetelo. Fra non molto tempo sarà impossibile scrivere e dire le cose che avete letto in queste pagine. Ci sarà innanzitutto una censura culturale, per cui “non sta bene” formulare un giudizio sullo stile di vita omosessuale. Ma potrebbero anche scattare vere e proprie proibizioni di legge. Il Timone non potrà pubblicare articoli come questo, e i parroci non potranno più dire dal pulpito che l’omosessualità è un disordine morale oggettivo, senza con ciò incorrere in un reato. Vi sembrano esagerazioni apocalittiche? Può darsi. Ma una volta che un certo stile di vita è dotato di passaporto regolare, sarà difficile per chiunque continuare a dare pubblicamente un giudizio negativo, anche solo morale. La Chiesa cattolica è avvertita.

I diritti ci sono già
Contrariamente a quanta si crede, i conviventi hanno già i diritti. Lo spiega la rivista «Si aIla vita» (novembre 2005). Infatti , «la legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima» (art. 30 della Costituzione).

 
Se i conviventi vogliono che un immobile appartenga a entrambi, e sufficiente che ne divengano acquirenti insieme.
Se uno dei conviventi muore, l'altro può subentrargli nel contratto d'affitto, purché entrambi stipulino il contratto. E l'art. 6 della L. 392/78 ha stabilito, dopo l'intervento della Corte Costituzionale (n. 404/88), che in caso di morte del conduttore, nel contratto gli succede anche l'eventuale convivente.
 
La stessa sentenza dice che se una convivenza termina, se sano nati dei figli, l'alloggio può restare al convivente insieme ai figli, anche qualora il conduttore sia l'altro convivente.
 
Se l'assegnatario ad un alloggio di edilizia popolare abbandona l'alloggio attribuitogli, il convivente ha diritto a succedergli (sentenza 559/89).
 
Ancora, è vero che il convivente non è erede, ma a ciò si può ovviare, limitatamente alla quota disponibile, mediante testamento.
 
Se uno si trova in carcere o all'ospedale, il convivente può assisterlo ed esprimere il suo parere circa le cure (cfr. legge n. 91/99).
 
Quanto al caso di omicidio, il convivente superstite ha diritto al risarcimento del danno morale (e anche di quello patrimoniale, se e dimostrato che la convivenza era stabile e costituiva un presupposto per un apporto economico futuro e costante). Inoltre, nel processo penale la legge esenta dall'obbligo di deporre anche il convivente. Infine, è vero che la pensione di reversibilità non spetta al convivente: la Corte Costituzionale (461/2000) ha spiegato che essa non e un diritto umano fondamentale e che la sua attribuzione esige una certezza di rapporto che solo il matrimonio può dare. Però, anche in questo caso, nel campo pensionistico l'autonomia privata viene incontro ai conviventi, che possono stipulare polizze assicurative volontarie.
 
IL TIMONE – Febbraio 2007 (pag. 37-39)