In Cina le chiese sono rimaste chiuse, causa pandemia, cinque mesi. Il governo di Pechino ha finalmente diffuso un avviso in cui dichiara la riapertura a partire dal 2 giugno, ma le sorprese, le regole e le trappole sembrano molte. Mirate.
Il 23 gennaio quando la Cina ha proclamato il lockdown di Wuhan e poi di altre provincie del Paese, alle chiese è stato chiesto subito di chiudere i battenti. E poi per cinque mesi nulla. Già a marzo hanno riaperto industrie, ristoranti, cinema, mercati ambulanti, ma le chiese hanno dovuto attendere fino a giugno.
Ora le regole richieste per aprire vanno dalle mascherine ai termoscanner, fino a percorsi precisi e disinfettanti. Ma fin qui, si potrebbe dire, è un film in parte già visto anche con i protocolli firmati in Italia tra vescovi e governo, il problema è che la riapertura delle chiese in Cina diventa l’occasione per ribadire alcuni concetti cari a Pechino in materia di libertà religiosa.
Padre Paolo, un sacerdote della Cina centrale, ha dichiarato a Asianews che «per aprire la chiesa dobbiamo ricevere i permessi delle autorità ad ogni livello: di villaggio, di città, di provincia e questo richiede tempo e viaggi». Secondo Ucanews.com, la situazione sarebbe ben più grave, visto che la direttiva del governo comunista cinese chiederebbe ai sacerdoti di «predicare sul patriottismo» come condizione per riaprire i servizi liturgici.
Padre Liu di Hebei, riporta ancora Ucanews.com, dichiara che «come membri della Chiesa cattolica universale, non possiamo accettare e glorificare ciò che i comunisti considerano l’educazione patriottica». Il processo di “sinicizzazione” (nazionalizzazione di fatto) della chiesa trova così un’occasione per accelerare. Il programma perseguito dal governo, così come chiaramente progettato nei Nuovi regolamenti per le attività religiose messi in atto nel febbraio 2018 e poi completati nel 1° febbraio 2020, mirano a un controllo e a una forma di chiesa nazionale. Nell’art. 5 si afferma che «le organizzazioni religiose devono aderire alla leadership del Partito comunista cinese, osservare la costituzione, le leggi, i regolamenti, gli ordinamenti e le politiche, aderire al principio di indipendenza e di auto-governo, aderire alle direttive sulle religioni in Cina, attuare i valori del socialismo…».
Se questo è il progetto non meraviglia che oggi, con la riapertura dopo il lockdown, si colga l’occasione per dare una accelerata.
«Certo», conclude padre Paolo con Asianews, «celebrare messa col popolo è molto importante e più significativa che assistere online, ma mi chiedo: abbiamo davvero libertà di religione, come predica la nostra Costituzione? La religione sembra non appartenerci; essa appartiene al Partito. Ma i nostri vescovi, che godono dei favori e dei benefici che il Partito concede loro, devono proprio sempre tacere? E il Vaticano, che ha firmato l’Accordo provvisorio due anni fa si rende conto di questo?».
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