Giallo sulla sorte del vescovo Rolando Álvarez che, da dover essere inviato in esilio, grazie all’intervento della Santa Sede e della nunziatura, si ritrova, ora, invece, nella cella di massima sicurezza della prigione di “La Modelo”, alla periferia di Managua, dove era rinchiuso dal 10 febbraio. Eppure nelle scorse ore fonti diplomatiche avevano data per certa, annunciandola addirittura, la sua scarcerazione. E invece, i negoziati sono falliti e pare resti ancora in piedi la condanna del presule a 26 anni di carcere. Alcuni mesi fa Alvarez si era rifiutato di salire su un volo per gli Stati Uniti, con altri 222 prigionieri, tutti oppositori del regime di Ortega e ora, nonostante i negoziati, la dittatura lo riporta in carcere.
Secondo il quotidiano nicaraguense Confidencial, il vescovo Álvarez «non ha accettato i termini imposti per il suo esilio». Difficile capire come stiano realmente le cose, con il cardinale Leopoldo Brenes, arcivescovo di Managua – che alcuni osservatori ritengono essere su posizioni ambigue verso la dittatura – il quale ieri ha smentito la notizia, dicendo che il vescovo «non è stato scarcerato, non si è mai mosso dal carcere, non è stato affidato alla Conferenza episcopale del Nicaragua, si tratta solo di speculazioni giornalistiche».
Si ipotizza anche, nelle varie ricostruzioni circolate sui fatti, che il piano poi sfumato fosse il seguente: far uscire dal carcere il vescovo, portarlo ad un luogo protetto per poi – alla presenza di autorità ecclesiastiche vaticane e nicaraguensi – offrirgli la libertà in cambio dell’esilio. Qualcosa di molto simile fu fatto nel 2018 al vescovo ausiliare di Managua, monsignor Silvio Báez, oggi in esilio a Miami e che, peraltro, proprio nei mesi scorsi era intervenuto chiedendo la «liberazione immediata» del suo omologo della diocesi di Matagalpa.
Se questo era il programma, come mai è sfumato? Parole di chiarezza potrebbero arrivare solamente dalla Santa Sede, ma pare che il motivo di ciò – come già accennato richiamando la testata Confidencial – pare proprio essere lui, Álvarez e il suo netto rifiuto di lasciare il Paese, perché il prelato desiderava semplicemente vivere libero, senza condizioni, nella sua patria, avrebbe irritato il regime in un momento difficile. L’esilio, infatti, come ha ben chiaro il coraggioso vescovo, avrebbe comportato la vittoria di Ortega.
Eppure la decisione del dittatore si sarebbe rivelata un boomerang in termini di immagine per il suo governo, suscitando l’indignazione della comunità internazionale e del suo stesso paese. L’agenzia Reuters ha precisato che il vescovo Álvarez, condannato il 10 febbraio scorso, per «tradimento» e privato dei «diritti di cittadinanza» in maniera «perpetua», sarebbe stato condotto nella sede della Conferenza episcopale nicaraguense a Managua, capitale del Paese, mentre erano in corso «trattative» sul suo «futuro».
Rimane comunque un dato di fatto la campagna di vessazioni e persecuzioni contro il vescovo, condotta da Ortega e dalla moglie Rosario Murillo, ai quali, peraltro, proprio il 5 luglio, l’Assemblea nazionale ha concesso il pieno controllo delle autorità di polizia. Per non parlare, poi, del processo pieno di irregolarità con cui la dittatura, lo scorso 10 febbraio, ha condannato il vescovo nicaraguense alla detenzione nel carcere ultra affollato, “Jorge Navarro”. E nemmeno ora che si prospettava una possibilità di fuga, Álvarez cede. Evidentemente non ha intenzione di arrendersi, né di scappare, nemmeno di fronte alla prova e forse, neanche davanti al martirio. (Fonte foto: Facebook )
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