Il dossier Viganò, la testimonianza dell’ex nunzio negli Stati Uniti in cui si mostra un quadro a tinte fosche dei massimi vertici della chiesa, ha scatenato sostanzialmente due reazioni: da un lato vi è chi ha accolto le dichiarazioni di Viganò con dolore, ma anche con riconoscenza, nella speranza che la verità possa finalmente venire a galla nella sua interezza e che – anche in virtù di un necessario tempo di preghiera e penitenza – la Chiesa possa risollevarsi; all’opposto vi è chi non ha esitato a definire la testimonianza dell’ex nunzio apostolico negli Usa un mero attacco al Papa, proveniente da ambienti pregiudizialmente avversi al pontefice argentino.
Questo tra le persone comuni, più o meno note. Ma anche alcuni esponenti della gerarchia ecclesiastica non hanno mancato di esprimere la propria opinione e, ne siamo certi, altri se ne aggiungeranno nel corso delle prossime ore.
Tra coloro che si sono esposti a sostegno di Monsignor Viganò spiccano l’ex primo consigliere della nunziatura apostolica a Washington D.C., Jean-François Lantheaume; l’arcivescovo di Filadelfia, Charles J. Chaput; il vescovo della diocesi di Tyler, Joseph Edward Strickland; e il vescovo di Tusla, David Austin Konderla.
Monsignor Lantheaume, che Viganò cita esplicitamente all’interno della sua testimonianza quale persona pronta a testimoniare rispetto al cardinale McCarrick per dei fatti avvenuti con il nunzio Pietro Sambi, è stato contattato dalla CNA ma ha rifiutato di rilasciare un’intervista, affermando semplicemente che «Viganò ha detto la verità. Questo è tutto». Dello stesso tenore è stato anche monsignor Chaput che si è limitato a garantire l’integrità del vescovo Viganò, in una dichiarazione del suo portavoce.
Meno cauto è stato invece il vescovo Strickland che, riporta LifeSiteNews, ha subito ritenuto di scrivere una lettera ai sacerdoti, diaconi, religiosi e tutti i fedeli della sua diocesi riportante la lettera di Viganò, accompagnata dal suo personale commento: «Cerchiamo di essere chiari che sono ancora accuse, ma come tuo pastore le trovo credibili. Utilizzando questo standard la risposta deve essere un’indagine approfondita simile a quelle condotte in qualsiasi momento le accuse sono ritenute credibili. Non ho l’autorità per avviare un’indagine di questo tipo, ma presterò la mia voce in qualsiasi modo necessario per richiedere questa indagine ed esorto che i risultati richiedano che tutti i responsabili siano ritenuti colpevoli anche ai più alti livelli della Chiesa».
Il vescovo Konderla ha affidato a Twitter il suo pensiero: «Le accuse da lui [Viganò, ndR] dettagliate segnano un buon punto per iniziare le indagini, che devono svolgersi in modo da poter ripristinare la santità e la responsabilità nella gerarchia della Chiesa. Ora è il momento per noi di raddoppiare le nostre preghiere per la Chiesa e per le vittime di questi reati». Infine, la dichiarazione ufficiale del presidente dei vescovi Usa, cardinale Daniel Di Nardo, che nel comunicato pubblicato sul sito della conferenza episcopale ha scritto: «le domande sollevate [dal memoriale Viganò] meritano risposte che siano conclusive e basate su prove: senza quelle risposte, gli uomini innocenti possono essere contaminati da false accuse e i colpevoli possono essere lasciati a ripetere i peccati del passato».
Accanto ai nomi di prelati che hanno parlato a favore della testimonianza di Viganò, ne segnaliamo altri due, di segno opposto. Innanzitutto quello dell’Arcivescovo metropolita di Washington, Donald William Wuerl, che nei giorni scorsi aveva dichiarato di non essere stato a conoscenza del presunto comportamento di McCarrick e delle sanzioni a suo carico, nonostante la vicinanza tra i due. Ieri, a dossier di Viganò ormai pubblico, il Catholic Herald riportava che «nonostante quanto indicato dall’arcivescovo Viganò, il cardinale Wuerl non ha ricevuto alcuna documentazione o informazione durante il suo periodo a Washington per quanto riguarda le azioni intraprese contro l’arcivescovo McCarrick». Il tutto però non combacia con la dichiarazione del portavoce dell’Arcidiocesi Ed McFadden, il quale ha affermato che è vero – come scritto appunto da Viganò – che, tra il 2011 e il 2013, il cardinale Wuerl aveva annullato un incontro con cardinale McCarrick rivolto ai giovani che sentivano la vocazione al sacerdozio, proprio a motivo del richiamo fattogli dall’ex nunzio Usa rispetto alle misure disciplinari cui McCarrick era soggetto.
Infine, contro la testimonianza di Viganò si è espresso anche il cardinale Blase J. Cupich, arcivescovo di Chicago, che – secondo quanto riporta il New York Times – «ha detto in un’intervista telefonica che sospettava che gli anglofoni avessero aiutato l’arcivescovo Viganò a scrivere la lettera. Ha chiamato il papa “un uomo integro”. “Se commette un errore, lo ammette”, ha detto il cardinale Cupich. “Ecco perché sono convinto che questo è qualcosa a cui risponderà in modo appropriato”. Il cardinale Cupich ha anche detto che i tempi della lettera sollevano domande».
Nel concludere, per quel che ci consta risulta doveroso sottolineare che Monsignor Viganò, come testimonia anche il vaticanista Aldo Maria Valli, non pare nutrire sentimenti di rivalsa per una carriera mancata, come ipotizza qualcuno, o ancora più godere delle dichiarazioni che ha dovuto rilasciare e che pesano su tutta la Chiesa, come se attaccare il Pontefice possa essere considerato un passatempo. Nulla di tutto questo. Il termine dovere pare infatti quello più adatto per descrivere il passo intrapreso dall’ex nunzio apostolico, costretto dalla propria coscienza a rilasciare quelle 11 dolorose pagine di testimonianza: «Ho settantasette anni, sono alla fine della mia vita. Il giudizio degli uomini non mi interessa. L’unico giudizio che conta è quello del buon Dio. Lui mi chiederà che cosa ho fatto per la Chiesa di Cristo e io voglio potergli rispondere che l’ho difesa e servita fino all’ultimo».
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