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«Ratzinger ci ha esortato ad arrivare alla verità delle cose»
NEWS 8 Novembre 2024    di Paola Belletti

«Ratzinger ci ha esortato ad arrivare alla verità delle cose»

La fede autentica non teme il confronto con alcuna istanza e non si sente minacciata da nessuna posizione intellettuale ed esistenziale, fosse anche la più lontana e ostile. Con questa certezza, che nel dialogo con il matematico è stata la sua costante ipotesi di lavoro, Benedetto XVI ha articolato il lungo confronto soprattutto epistolare con Piergiorgio Odifreddi, scienziato italiano apertamente e convintamente ateo con il quale ha dialogato per otto anni. Nella rubrica dedicata a questo ricco confronto, Matthew J. Ramage, docente di teologia al Benedictine College,
ha messo in evidenza come l’approccio del pontefice sia un luminoso modello, anzi una lectio magistralis «di come dovrebbe svolgersi un dialogo significativo con i non credenti». Secondo Joseph Ratzinger «evitare le domande più difficili della vita “sia in realtà, in sostanza, una sorta di rifiuto della fede o, almeno, una forma molto profonda di scetticismo che teme che la fede non sia abbastanza grande da far fronte alla realtà”».

L’autore dell’articolo si è concentrato soprattutto su questo, ovvero sul metodo utilizzato da Benedetto XVI che mostra in maniera eccelsa ciò che ogni credente dovrebbe avere in mente e nel cuore quando si confronta con interlocutori che non hanno (ancora) la grazia della fede e partono da posizioni intellettuali distanti, il che non significa mai inutili o improduttive anche per il cristiano: «[…] Qui come altrove nel suo ministero, il pontefice emerito ha raggiunto un’impresa rara. Di fronte a un interlocutore antagonista, ha mostrato una capacità singolare di combinare fedeltà alla dottrina cattolica con pazienza, equilibrio e la volontà di offrire una critica caritatevole ma schietta». Secondo Odifreddi “La matematica e la scienza sono l’unica vera religione; il resto è superstizione”. A riprova di questa affermazione piuttosto dogmatica, il matematico argomenta con l’inadeguatezza delle immagini antropomorfiche presenti nella Bibbia per rappresentare la creazione, una rivelazione, a suo parere, che anziché svelare oscura. La risposta di Benedetto XVI accoglie e sinceramente valorizza l’obiezione di Odifreddi che in effetti coglie un aspetto paradossale dei brani biblici, ma forse persino della dinamica con la quale Dio si è comunicato agli uomini lungo la storia, che resta misteriosa e inesauribile.

E mantiene questa natura di inesauribilità anche quando dalle immagini antropomorfe si passa a concetti metafisici; anch’essi restano incapaci di esaurire la descrizione di Dio: «Invece di respingere del tutto l’accusa di Odifreddi, Benedetto riconosce che, anche se la Chiesa cattolica possiede la giusta comprensione di queste questioni, il suo interlocutore non ha completamente mancato il bersaglio. A questo punto, il pontefice rimanda la sua controparte a Dionigi l’Areopagita, uno scrittore patristico fondamentale il cui pensiero concorda con l’ateo nella misura in cui ha ritenuto necessario trascendere l’immaginario figurativo dispiegato nella Scrittura per arrivare alla verità metafisica da essa nascosta. Allo stesso tempo, tuttavia, Benedetto mette in guardia con Dionigi che, mentre un approccio filosofico più raffinato a Dio può essere più appropriato dei simboli materiali, essi sono ancora ben lontani dal costituire una rappresentazione perfetta della realtà divina. Nelle parole di Benedetto, “Il rischio per queste persone illuminate è di considerare adeguata la loro concezione filosofica di Dio, dimenticando che le loro idee filosofiche rimangono anche infinitamente distanti dalla realtà del ‘totalmente Altro'”».

Significa che la distanza da Dio non sarà mai colmabile con il solo rigore teoretico poiché, concludeva il pontefice citando il Concilio Lateranense IV «ogni concetto di Dio non può essere che analogico, e la dissimilarità dal vero Dio è sempre infinitamente maggiore della somiglianza». Il papa teologo ha sempre ben presente che la mente umana è insidiata dalla superbia e dalle passioni sempre bisognose di guarigione che caratterizzano il nostro stato creaturale. Per questo motivo «considera il travestimento del linguaggio antropomorfico “necessario per superare l’arroganza del pensiero”». E non solo mortifica in modo benefico l’hybris del pensiero astratto, ma lo nutre e lo orienta. Lo dice appoggiandosi alle parole di C.S. Lewis :«“La più cruda raffigurazione dell’Antico Testamento di Yahweh che tuona e fulmina da un fumo denso, facendo saltare le montagne come arieti, minacciando, promettendo, supplicando, persino cambiando idea, trasmette quel senso di  Divinità vivente  che evapora nel pensiero astratto”».

L’altro polo intorno al quale è gravitato il confronto proficuo tra Benedetto XVI e Odifreddi è quello intorno all'”altro libro” di Dio, il Creato. Per Odifreddi se la scienza ha ragione allora la fede ha torto, secondo una logica apparentemente irreprensibile che invece mostra la concezione ostinatamente bellicosa del rapporto tra i due modi, entrambi umani, di conoscere la realtà. «Come molti atei, Odifreddi vede la relazione tra fede e scienza attraverso la lente del conflitto. Sostiene che il mondo è interamente spiegabile, rendendo così superfluo l’intervento divino.»

La distinzione che il pontefice porta sul tavolo della discussione, che riesce sempre a mantenere proficua e arricchente, è quella tra la scienza, il cui valore la Chiesa apprezza, incoraggia e valorizza, e lo scientismo, che idolatra la scienza e le sue conquiste in un non sempre consapevole approccio religioso. «[…] lungi dal contestare il passato evolutivo della vita, il pontefice informa la sua controparte atea che la Chiesa ha da tempo affermato l’armonia tra la teoria evolutiva e la fede nella creazione. Benedetto ha parlato di questo argomento numerose volte, sostenendo che ci sono “molte prove scientifiche a favore dell’evoluzione” e che quindi non dovremmo vedere questo come una questione di “creazione  o  evoluzione” ma piuttosto “creazione  ed  evoluzione”.  In questo caso, il pontefice emerito assume una posizione ancora più ferma del solito sulla complementarietà di questi domini: “Innanzitutto, vorrei sottolineare che nessun teologo serio contesterà che l’intero “albero della vita” si trovi in ​​una relazione interna vivente, per la quale il termine evoluzione è appropriato. Allo stesso modo, nessun teologo serio sarà dell’opinione che Dio Creatore abbia dovuto intervenire ripetutamente a livelli intermedi quasi manualmente nel processo di sviluppo. In questo modo, molti attacchi alla teologia riguardo all’evoluzione sono infondati” (30 agosto 2013, II).»

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