C’è un giudice a Helsinki e no, non era affatto scontato. Quando il 24 gennaio scorso era iniziato il processo a carico Päivi Räsänen, classe 1959, politica ed ex ministro dell’Interno della Finlandia finita alla sbarra per delle prese di posizione contro l’ideologia Lgbt, tirava infatti una brutta aria. La convergenza d’interventi che alla prima udienza s’era vista tra il pm, Anu Mantila, e il presidente della corte, Tuomas Nurmi – ambedue concordi sulla necessità di concentrarsi sul rispetto della legge finlandese «e non la Bibbia» -, non lasciava presagire nulla di buono.
Come se non bastasse, sul processo alla politica cristiana si era addensato un clima pesante, quasi che in ballo vi fosse non un’imputata bensì una sorta di derby tra la cultura dominante e libertà di pensiero. Non a caso, come ricordato dal Timone, il teologo Timo Eskola aveva definito «il caso di Räsänen l’evento più importante nella storia della Chiesa finlandese in cento anni e destinato a diventare un processo riferimento per molti altri in futuro». Insomma, per l’ex Ministro dell’Interno si stava mettendo malissimo.
Invece ieri, alle ore 13:00, la notizia più bella: Päivi Räsänen è stata scagionata da ogni accusa. Con un verdetto unanime di 28 pagine l’ex ministro finlandese e il vescovo luterano Juhana Pohjola (anch’egli rinviato a giudizio, dato che aveva pubblicato un pamphlet della donna) son stati pienamente prosciolti. Non solo, lo Stato è stato pure condannato a pagare circa 60.000 dollari di spese processuali. Una vittoria su tutti i fronti, quindi. Che trae conforto dalle parole della sentenza, secondo cui «non spetta al tribunale distrettuale interpretare i concetti biblici», dato che l’imputata aveva cercato di «difendere il concetto di famiglia e matrimonio tra un uomo e una donna»; e se qualcuno si fosse sentito offeso dalle sue parole, prosegue la sentenza, «deve esserci una ragione sociale prevalente per interferire e limitare la libertà di espressione».
Come dire: cari attivisti Lgbt, ci sta che vi sentiate indispettiti, ma non si può abolire la libertà di espressione solo perché a voi un tweet non va giù. Sì, perché una delle cause per cui l’ex ministro era finita a processo è precisamente un suo intervento su Twitter del giugno 2019 in cui Räsänen, molto semplicemente, criticava la sponsorizzazione ufficiale della Chiesa evangelica luterana di Finlandia al Pride 2019 e, nel farlo, allegava l’immagine del brano biblico Romani 1:24-27. Incredibile a dirsi, la faccenda era originata essenzialmente da questo.
Si può allora ben comprendere l’importanza del processo finito ieri, così come comprensibili son le dichiarazioni di gioia rese dalla diretta interessata, in una breve conferenza stampa tenuta un quarto d’ora dopo l’assoluzione. «Questa è la decisione che mi aspettavo», ha dichiarato, «e apprezzo molto che la decisione della corte riconosca l’importanza della libertà di espressione e della libertà di religione». «Perché c’era tanto interesse internazionale sul mio caso?», ha inoltre commentato l’ex ministro, «perché le persone capiscono che se la libertà di espressione può essere messa in discussione nella rispettabile Finlandia, ciò può avvenire in ogni Paese».
In effetti, anche dall’Italia in tanti – e tra questi il Timone, che aveva già intervistato l’ex ministro nel numero cartaceo di ottobre 2021 – hanno seguito da vicino il processo a Päivi Räsänen, proprio perché consapevoli che le norme contro i “discorsi d’odio” aprono a scenari preoccupanti per la libertà di pensiero, in particolare quando il pensiero è quello cristiano sulla sessualità e sul matrimonio, nel quale la cultura dominante, come noto, scorge una matrice omotransfobica. E la stessa assoluzione della coraggiosa politica finlandese, attenzione, se da una parte è senza dubbio notizia incoraggiante, dall’altra non deve certo far pensare che una proposta come l’abortito ddl Zan sarebbe positiva. Per un motivo molto semplice: le leggi finlandesi contro i “discorsi d’odio” sono comunque costate un processo ad un ex ministro dell’Interno, ossia ad una personalità con le spalle larghe.
Quanti cittadini però, al posto di Räsänen, avrebbero subito gettato la spugna correndo a scusarsi, pur di non affrontare un processo? Alla fine, il punto è tutto qui. Perché, come si diceva in apertura, a Helsinki fortunatamente un giudice c’è. Non è però affatto scontato – specie alla luce di fior di sentenze creative, per così dire, emesse negli anni da certa magistratura – che se ne trovino tanti anche altrove.
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