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Quel San Giuseppe accanto ai nostri padri
NEWS 19 Marzo 2020    di Andrea Zambrano

Quel San Giuseppe accanto ai nostri padri

I nonni che muoiono sono prima di tutto padri. Il primo compito è quello di riconoscere che la tragedia del Coronavirus è che ci sta facendo lasciare senza salutarli, senza poter dare loro i conforti necessari i nostri papà. Maschi, anziani. E’ l’identikit dei pazienti da Covid-19 più ripetuto, dei soggetti più a rischio. Come mantra per farci continuare a crogiolarci nelle nostre sicurezze (“tanto a me non capiterà perché non sono vecchio”), per tenere più in là lo sguardo su quello che questo dramma ci fa dire “sono i nonni”. Ma non esiste un nonno che non sia padre. Troppo comodo scaricare sui nostri figli, sugli adolescenti, questa tragedia dicendo loro che stanno morendo i loro nonni. No, stanno morendo i nostri padri e questo concetto lo ha meritoriamente sottolineato Gabriele Corsi del Trio Medusa che tutte le mattine su Radio Deejay fa ridere, ma questa volta ha fatto riflettere.

Padri, dunque. Rimettiamo le parole giuste al centro. Ed è significativo – ma anche commovente, profetico e perché no, miracoloso – che i giorni più intensi di questa epidemia si stiano svolgendo in questo mese di marzo, che è il mese dedicato a San Giuseppe perché è quello in cui la Chiesa lo festeggia, tra novene e sacro manto, ma anche il mese che, facendo memoria dell’Annunciazione, ci riporta anche al suo sì: nascosto e non meno decisivo.

E oggi che la chiesa lo festeggia, San Giuseppe, lui ci protegge comunque e prima di tutto protegge i nostri papà nelle terapie intensive che non riescono ad avere la mano tenera dei figli. Siamo certi che San Giuseppe c’è e dovremmo oggi crederlo ancor più tenacemente perché San Giuseppe ha anche questo compito di essere custode. E’ a lui che possiamo affidarci perché ci custodisca nei pericoli e questo che stiamo vivendo è un pericolo. Perché lui fece così con la sacra Famiglia, che era chiesa nascente.

C’è una riflessione consolante che può aiutarci a credere in questa paterna custodia di Giuseppe che si spinge fino all’intercessione per la guarigione dal Coronavirus o – per chi non guarirà – la certezza che possa abbracciare subito il Padre: «A lui possiamo domandare una specialissima intercessione, poiché – come diceva Papa Pio XI – tale intercessione “non può che essere onnipotente, poiché che cosa potrebbero Gesù e Maria rifiutare a Giuseppe che consacrò a loro tutta la sua vita e al quale devono realmente i mezzi della loro esistenza terrena?” – suggerisce don Salvatore Vitiello – a lui possiamo domandare luce e consiglio, poiché egli per primo è stato un uomo in totale ed assiduo ascolto della Volontà di Dio, che vedeva concretarsi in quella Presenza eccezionale».

Questa società è arrivata ad eliminare la figura del padre da tutto, ha ucciso il padre perché in esso vedeva riflesse le caratteristiche archetipiche di Dio. E adesso, questo padre, lo vediamo ormai stanco, sfinito e immobile col ventilatore mentre sta esalando l’ultimo respiro. E’ un’immagine reale che ci proietta a tutte le volte in cui la paternità è stata rifiutata. In quel letto accanto al padre che abbiamo rifiutato ci sarà sempre il custode San Giuseppe. E’ una consolazione per ripartire e ricominciare, un giorno che speriamo non sia lontano. In fondo, ad un certo punto, anche San Giuseppe si dovette mettere in cammino per tornare a casa dopo aver salvato il piccolo Gesù.


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