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Quei pastori che invitano al disarmo anche i pochi rimasti a combattere la Buona Battaglia
news
16 Maggio 2016

Quei pastori che invitano al disarmo anche i pochi rimasti a combattere la Buona Battaglia

da Il Timone, gennaio 2016 – n° 149

 

Caro Barra,
ho letto nel Timone di novembre la lettera del signor Giuseppe V. e la sua risposta. Sono un abbonato da diversi anni e, credo, come la maggioranza dei lettori del Timone sono confuso e sbalordito (altrimenti saremmo abbonati a qualche Famiglia Cristiana). La mia impressione è che l'imperatore non gradisce la nostra presenza nella trincea, che non ci sono più nemici, anzi che i nemici siamo noi.
È gradita una sua risposta, anche in privato.
Sia lodato Gesù Cristo!
Igor Boban / e-mail

 

Caro Boban,

Le rispondo pubblicamente perché lei solleva una questione veramente delicata che interessa i lettori del Timone. Una premessa doverosa, che lei saprà comprendere: non si dà dell'imperatore al Santo Padre, perchè il Papa – chiunque egli sia – è il Vicario di Cristo, successore di Cristo e capo visibile della Chiesa. Così ci insegna la dottrina cattolica, proprio quella dottrina che – lo dico con dolore – non sembra essere apprezzata, purtroppo, nemmeno ai vertici più alti della nostra Santa Chiesa.

Ciò detto, la sua impressione è anche la mia.

Per quanto mi riguarda, parlo di “impressione”, non di certezza. Dunque potrei sbagliarmi.

Ma a me pare sia palesemente in atto un'opera di autodemolizione della Chiesa della quale aveva già dato preoccupato avvertimento papa Paolo VI, un aspetto della quale è l'aver fatto sparire la dimensione miliante e virile dell'aspotolato cattolico.

I nostri pastori non ci mettono più in guardia dai nemici della Chiesa, che sono scomparsi dall'orizzonte della predicazione. Così facendo, però, non solo tentano al disarmo anche quei pochi che sperimentano tutti i giorni la dimensione battagliera del cristianesimo (ridotto ormai, tra i più, a un melenso buonismo che fa rivoltare nella tomba milioni di martiri che per Cristo hanno versato il sangue), ma ci privano anche della possibilità di elevare al vertice più alto – dopo quello dovuto a Dio – il comandamento dell'amore.

Infatti, una volta seppellita la guerra tra la Donna e il serpente di genesiaca memoria (ahimé perduta), spariti dall'orizzonte i nemici di Dio, della Chiesa e della Verità, posto che il problema più grande è la sovrapproduzione di anidride carbonica e non l'allontanamento, il tradimento e financo la perdita totale della fede cattolica – la sola che salva – come si può mettere in pratica il comando di “amare il nemico”? Chi e dove sarebbe costui?

No, caro Boban, io dalla trincea non mi sposto.

Almeno fino a quando non arrivi un ordine esplicito e l'invito alla desistenza si trasformi da impressione a certezza. Ma allora, il problema non sarà mio, ma di colui – o di coloro – che avranno dato l'ordine.

Gianpaolo Barra

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