Nelle diciotto pagine di “appunti” sugli abusi e sulla pedofilia nella Chiesa che Benedetto XVI scrisse quattro anni fa, c’era un richiamo molto pesante: quello al terremoto – che fu anche ecclesiale – del 1968 e della «liberazione sessuale». «Della fisionomia della Rivoluzione del 1968», scrisse Ratzinger, «fa parte anche il fatto che la pedofilia sia stata diagnosticata come permessa e conveniente. Quantomeno per i giovani nella Chiesa, ma non solo per loro, questo fu per molti versi un tempo molto difficile. Mi sono sempre chiesto come in questa situazione i giovani potessero andare verso il sacerdozio e accettarlo con tutte le sue conseguenze. Il diffuso collasso delle vocazioni sacerdotali in quegli anni e l’enorme numero di dimissioni dallo stato clericale furono una conseguenza di tutti questi processi».
Come si può leggere nel Timone di gennaio, quegli “appunti” del pontefice emerito colpivano nel segno, rispetto ad una delle cause culturali del dilagare degli abusi del clero. Ma torniamo alla rivoluzione sessantottina. Come ricorda anche la Cnn, il grande teologo scomparso era in origine un pensatore liberale e progressista che però poi, nel 1968, si spostò più su posizioni che volgarmente si potrebbero definire conservatrici. Di più: si può asserire che fu proprio quel terremoto a spingere il futuro cardinale e pontefice a diventare il Ratzinger che tutti conosciamo. In effetti, risale all’estate del 1968 la prefazione del primo grande libro del teologo – Introduzione al Cristianesimo – nella quale egli registrava un fatto di inaudita gravità, ossia il fatto che «il problema di sapere esattamente quale sia il contenuto e il significato della fede cristiana» fosse diventato «fitto e spesso come mai prima d’ora lo è stato nella storia».
D’accordo, ma in che modo il ’68 turbò Ratzinger? La sua metamorfosi – secondo quanto ricostruisce il Time – fu attribuita dai critici del teologo non già ad un turbamento, bensì al suo presunto arrivismo, alimentato dal fatto che la Chiesa cattolica, anche in chiave anticomunista, si stesse «muovendo verso destra». Ma si tratta di un’ipotesi molto traballante. Convince infinitamente di più quanto sottolinea il bravissimo Giulio Meotti, che segnala come, negli anni di insegnamento dall’Università di Tubinga, l’allora professor Ratzinger, poco più che trentenne, fu protagonista di un doppio fenomeno: il successo e la contestazione; da un lato, infatti, le sue lezioni attiravano un enorme numero di studenti – oltre 400 giovani affollavano le aule dove lui parlava – ma, dall’altro, il teologo bavarese fu protagonista di episodi di forte contestazione.
In più di una occasione, infatti, gli studenti che presero d’assalto le sue lezioni, urlandogli in faccia slogan anticristiani e impedendogli così, di fatto, di insegnare. Ratzinger fu inoltre sconvolto dalle occupazioni e dai contestatori che facevano irruzione anche alle riunioni tra i docenti. Il New York Times ricorda il tal senso un episodio emblematico: quello dell’invasione di una seduta del consiglio di facoltà, sempre a Tubinga, da parte di un gruppo di una ventina di studenti. La maggior parte dei docenti si fermò a dialogare con loro e ci fu solo uno che prese le sue cose se ne andò senza proferire una parola: era il futuro pontefice. Poi, certo, vanno considerati anche altri aspetti – su tutti, la rivalità teologica con Hans Küng(1928–2021) -, ma fu senza dubbio l’irruenta contestazione dell’autorità e delle istituzioni a sconvolgere quel giovane e mite docente che, da quegli episodi, aveva capito che la faccenda stava prendendo una brutta piega. E occorreva provare a porvi rimedio: anche nella Chiesa. (Foto: fonte Facebook)
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