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Quando prevale la paura, ci allontaniamo da Dio
NEWS 15 Ottobre 2023    di don Luca Mele

Quando prevale la paura, ci allontaniamo da Dio

XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A

Una delle raccomandazioni che dà il Messale Romano per il rito dell’Eucaristia è che il celebrante non può arbitrariamente sostituire i testi eucologici. Di solito le iniziative personali di un prete sono mosse dalla volontà di rendere più accessibile anche nel linguaggio la preghiera, ma la fedeltà e il rispetto sono garanzia di unità e di verità. Ad esempio, optare per un «Beati “voi” invitati alla cena dell’Agnello», convinti di trasmettere una maggiore consapevolezza e una più convinta partecipazione, significa dimenticare che si tratta di un dono universale.

Che poi non tutti accolgano la proposta ad accomodarsi è fuori dubbio e di questi rifiuti già ne parlava Gesù come ascoltiamo in queste domeniche; però, solo l’esser stati chiamati è il frutto di una beatitudine che precede.

Anche stavolta la parabola ha un’applicazione storica precisa e tralasciando le interpretazioni trionfalistiche nel contrasto tra Israele e Chiesa si consideri l’invito sempre nuovo a «prendere parte alla gioia del padrone» che lui stesso reputa meritevole di essere condivisa. Non sempre si è nella condizione di farla propria: chi vive situazioni di «morte», chi annega nelle proprie «lacrime», non ha voglia di condividere la festa. Angoscia e sofferenza tolgono appetito, se si sta male non si vuole nemmeno mangiare. Infatti, quando ci si vuole davvero bene, più che domandare un generico «Come stai?», si chiede se si ha pranzato o cenato e dall’eventuale risposta negativa si evince che qualcosa non va e ci si preoccupa.

Così è nel rapporto con Dio: quando prevalgono il peso e la paura che disorientano, ci si allontana ancora di più, perché non ha senso pregare con certi sentimenti, manca naturalezza e si teme una certa ipocrisia.

Eppure Dio insiste, non vuole che il Maligno cavalchi sentimenti di stanchezza per amplificare la demotivazione e giochi sull’autoconvinzione di sentirsi incoerenti e incapaci. È come se dicesse: «Vieni lo stesso, vedrai che l’appetito vien mangiando; indossa l’abito più bello, anche l’anello e i calzari, nel mentre che strappo altri veli di inferiorità e arrendevolezza. Accomodati, non per fare numero o peggio malvolentieri, e rallègrati, esulta: io colmerò ogni tuo bisogno con magnificenza. Sì, non sei degno, però tra le pietanze c’è quella parola che hai chiesto per essere salvato e molto di più». Tutto è pronto e non si può differire, non c’è altra urgenza se non quella di gustare la consolazione già annunziata e adesso servita per buoni e cattivi.


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