di Francesco Cavina*
Ciascuno dei 4 evangelisti inizia il Vangelo in modo diverso. San Giovanni nel prologo del suo Vangelo vuole aiutarci a scoprire l’identità del bambino che abbiamo contemplato nascere questa notte e la sua importanza per gli uomini. Chi è? Da dove viene? In quale rapporto sta con la creazione e con gli uomini?
Tutte queste domande trovano la loro risposta nel Prologo del Vangelo di san Giovanni che la liturgia ci propone nella Santa Messa del giorno di Natale: Gesù di Nazareth è il Verbo di Dio.
Il libro della Genesi inizia con le parole: In principio Dio creò il cielo e la terra. Il Vangelo di Giovanni non inizia con l’affermazione: In principio Dio creò il Verbo, bensì con l’affermazione: In principio era il Verbo. Il Verbo non è creato esiste da sempre e questo significa che è senza principio e senza fine. E’ da sempre presso Dio ed è Dio, così come Dio è Dio.
Dopo avere parlato del Verbo e del suo rapporto con Dio, l’evangelista Giovanni presenta il rapporto del Verbo con la creazione, che viene così definito: Tutto è stato fatto per mezzo di lui. Un’affermazione che viene ulteriormente rafforzata dalle parole: E senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. Tutta la creazione, dunque, sin dalla sua origine è legata e dipende nel suo esistere dal Verbo divino.
Pertanto, quando il Verbo viene nel mondo non entra in un paese straniero, in una realtà a Lui estranea, bensì viene nella sua proprietà, viene a casa sua, tra i suoi. In particolare, il rapporto del Verbo con gli uomini è caratterizzato da “vita” e “luce”. Infatti, il Verbo, essendo Dio, possiede la pienezza della vita perché in Lui è assente ogni ombra di morte e di limite e, pertanto, diventa per gli uomini luce che illumina, orientamento e meta.
Il versetto 14, Et Verbum caro factum est, è il versetto centrale, la vetta luminosa del Prologo, la sintesi di tutto il mistero cristiano, la pietra angolare, preziosa, su cui riposa la salvezza del mondo e la possibilità data agli uomini di conoscere Dio, di amarlo, di essergli uniti per sempre. Si tratta di una frase semplice e disadorna, lasciata cadere con la forza inaudita di un macigno.
Il Verbo, Persona divina, tutt’uno con il Padre, che dall’eternità è presso Dio ed è Lui stesso Dio, nel quale c’è la pienezza della vita e nel quale non c’è ombra di oscurità, ebbene questo Verbo in un momento preciso della storia nasce nel tempo, abita tra noi, fatta uomo di carne come noi. Si fa piccolo, entra nella precarietà e si mette alla pari con noi per incontrare la sua creatura, nella debolezza della sua condizione umana ferita dal peccato.
Il testo prosegue raccontando un dramma inatteso e sconvolgente. Per due volte viene detto che il Verbo di Dio incarnato è stato respinto. Egli viene nel mondo, ma gli uomini, che devono a Lui la propria esistenza e il loro essere in vita non lo hanno accolto, lo hanno lasciato fuori dalla porta, non hanno voluto averlo tra loro. In sostanza l’opera del Verbo incarnato si scontra contro una forza ostile: le tenebre, il diavolo, satana. Ma la luce risplende e prevale. Infatti: le tenebre non hanno vinto la luce.
Infatti, il Verbo di Dio trova anche accoglienza. A coloro che lo accolgono mediante la fede, cioè si fidano di Lui e a Lui si affidano, è dato il diritto di diventare figli di Dio. I genitori sono tali perché trasmettono ai figli la vita e vivono con essi un legame familiare e personale. Figli di Dio, allora, sono coloro che ricevono da Dio la vita divina con il Battesimo, che vivono in familiarità con Lui mediante il sacramento dell’Eucarestia e qualora questa vita, a causa del nostro peccato, sia in pericolo di spegnersi, viene sanata con il sacramento della confessione.
Il mistero-evento dell’Incarnazione del Figlio di Dio diventa per tutti i battezzati uno stimolo ed un incitamento ad aiutare i fratelli a scoprire la meravigliosa ed inaudita dignità a cui tutti sono chiamati: divenire figli di Dio ed eredi del Padre nostro celeste.
*vescovo emerito di Carpi
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