Nei giorni in cui nel nostro Paese divampa il dibattito sulla triptorelina – prodotto a detta di alcuni efficace nel curare i disturbi di disforia di genere, tramite un’azione di blocco dell’inizio della pubertà al fine di allineare armoniosamente psiche e corpo – e in cui persino un quotidiano cattolico come Avvenire inizia a chiedersi se il ‘cambio di sesso’ sia qualcosa di «eticamente accettabile», dagli States arriva una storia, anzi una testimonianza, a dir poco esplosiva. E’ quella di Jamie Shupe. Di chi stratta? Il nome, in effetti, ai più non dirà molto, soprattutto considerando che siamo in Italia. E dire che si tratta di un personaggio decisamente significativo.
Sì, perché questo ultracinquantenne veterano dell’esercito, grazie a un pronunciamento favorevole da parte di una corte dell’Oregon risalente al 2016, è stato il primo cittadino americano a potersi ufficialmente fregiare del diritto di dichiararsi «non binario» o appartenente al «terzo sesso». «Mi è stato assegnato il sesso maschile alla nascita a causa di una classificazione meramente biologica», spiegava a tal riguardo Shupe solo qualche anno fa, «ma la mia identità non è mai stata maschile e, a ben vedere, neppure femminile. Mi considero invece un misto di entrambe, e cioè appartenente, per l’appunto, a un terzo sesso».
Tutto ciò fino a pochi giorni fa, quando l’uomo ha preso carta e penna e sulle colonne del Daily Signal ha raccontato un nuovo sconvolgente capitolo della propria storia. La storia di una persona che solo quattro anni fa spiegava nientemeno che sul New York Times la sua decisione di ‘cambiare sesso’, mentre oggi ha cambiato solo una cosa, anche se fondamentale: idea. «Ora», rivela, «voglio vivere nuovamente come l’uomo che sono».
Non solo. Sconfessando in modo definitivo quel pensiero gender free di cui era paladino e testimonianza vivente, Jamie Shupe si dichiara fortunato per non aver mai intrapreso alcun percorso chirurgico per ‘cambiare sesso’. «Ma questo non significa», tiene a precisare, «che io sia uscito da questa esperienza senza traumi. La mia psiche è purtroppo eternamente segnata e ho avuto una serie di importanti problemi di salute», racconta.
In ogni caso, nonostante tante sofferenze e ferite, quest’uomo oggi tiene a che la sua storia sia conosciuta. E a chi gli domanda cosa direbbe se potesse rivolgersi a dei giovani transgender o «non binari» com’era considerato lui, risponde: «A questi ragazzini direi: capisco che siete riluttanti ad accettare consigli da persone più grandi e vorreste fare tutto da voi, ma avete solo un corpo, solo un sistema riproduttivo, solo un sesso. Vi chiedo quindi per favore di non rovinare tutto ciò inseguendo la fantasia di essere diversi dal vostro sesso biologico».
Un appello forte e anche drammatico, che riporta immediatamente alla memoria un’altra vicenda terribile, anzi ancora più terribile: la storia di David Reimer (1965 –2004), il bambino divenuto ragazzina e infine tornato uomo. Un tunnel da cui egli non uscì felice dato che, separatosi dalla moglie, a 38 anni si tolse la vita, distrutto dai traumi di una giovinezza rovinata dalle fantasie di John William Money (1921–2006), il chirurgo del Johns Hopkins Hospital di Baltimora che l’aveva in cura nonché uno dei padri di quella teoria del gender che, secondo alcuni buontemponi, neppure esisterebbe.
Fortunatamente Shupe sembra essersi liberato prima da certi fantasmi rispetto a quanto accaduto a Reimer, che fu spinto tra le braccia di Money poco più che aveva pochi anni di vita; tuttavia anche la sua esperienza non fa che confermare la verità del dimorfismo biologico, che già millenni or sono la Bibbia aveva messo a fuoco:«Maschio e femmina li creò» (Gen. 1,27)
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