Lo scorso 8 giugno il Territorio della Capitale Australiana (Act) ha approvato una legge con la quale si impone ai sacerdoti di riferire al referente incaricato se un penitente ha confessato di aver abusato di minori: una decisione, questa, contraria al Codice di Diritto canonico, che definisce il sigillo sacramentale «inviolabile» (983) e che prevede quale pena per coloro che trasgrediscono la scomunica.
Si viene ora tuttavia a sapere che anche l’Australia meridionale si è unita all’Act nello stesso intento e, si dice, altri Stati stanno valutando di fare lo stesso. La questione si fa dunque sempre più preoccupante, sia per via dell’aumentare della sua estensione, sia per la portata del provvedimento in esame che, appunto, si configura come una minaccia alla libertà religiosa, seppur celata dietro il condivisibile intento di preservare l’innocenza dei più piccoli.
Unico dato di conforto è il fatto che diversi esponenti della gerarchia cattolica, ma non solo, si stanno pubblicamente esponendo in difesa del sigillo sacramentale. Abc, ad esempio, riporta le parole di padre Michael Whelan, parroco a Sydney: «Lo Stato ci richiederà che i preti cattolici commettano ciò che consideriamo il crimine più grave e io non sono disposto a farlo». E, Whelan ne è certo, non sarebbe il solo. Questo non in quanto la Chiesa sia superiore allo Stato, bensì perché è doveroso opporsi quando «lo Stato cerca di intervenire sulla nostra libertà religiosa, minando l’essenza di ciò che significa essere cattolici». E poco conta se un’azione di ribellione dovesse avere quale conseguenza la prigione: per il sacerdote è infatti chiaro che la fedeltà a Dio viene prima delle leggi degli uomini.
Anche perché, prosegue Whelan, nel caso in cui un penitente confessi di aver abusato di uno o più minori, una possibilità è quella di proporre al fedele di costituirsi presso gli organi competenti. Una richiesta che trova un aggancio dottrinale da un lato nel fatto che il dolore dei peccati è una delle prerogative imprescindibili alla base della validità del sacramento della Penitenza, come recita il Catechismo maggiore di San Pio X: «Quando noi andiamo a confessarci, dobbiamo essere certamente molto solleciti di avere un vero dolore de’ nostri peccati, perché questa è la cosa più importante di tutte: e se manca il dolore, la confessione non vale» (726 D); dall’altra nel necessario proponimento di non commettere più peccato e nell’impegno a fuggire le occasioni pericolose di peccare.
Sulle stesse posizioni di Whelan si è mostrata anche la senatrice laburista del NSW Kristina Keneally, studiosa di teologia cattolica, la quale si è espressa dicendo che il fatto di obbligare i sacerdoti a violare il sigillo sacramentale non è il metodo corretto per prevenire gli abusi sui bambini, mentre invece sarebbe necessario valutare meglio chi viene ordinato e, nel contempo, incrementare la presenza di genitori e donne nell’ambito ecclesiastico.
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