Dal radiomessaggio di Pio XII in occasione della «Giornata della famiglia», domenica 23 marzo 1952
[…] La «morale nuova» afferma che la Chiesa, anzi che fomentare la legge della umana libertà e dell’amore, e d’insistervi quale degna dinamica della vita morale, fa invece leva, quasi esclusivamente e con eccessiva rigidità, sulla fermezza e la intransigenza delle leggi morali cristiane, ricorrendo spesso a quei «siete obbligati», «non è lecito», che hanno troppo sapore di un’avvilente pedanteria.
Ora invece la Chiesa vuole — e lo mette in luce espressamente quando si tratta di formare le coscienze — che il cristiano venga introdotto nelle infinite ricchezze della fede e della grazia, in modo persuasivo, così da sentirsi inclinato a penetrarle profondamente.
La Chiesa però non può ritrarsi dall’ammonire i fedeli che queste ricchezze non possono essere acquistate e conservate se non a prezzo di precisi obblighi morali. Una diversa condotta finirebbe col far dimenticare un principio dominante, sul quale ha sempre insistito Gesù, suo Signore e Maestro. Egli infatti ha insegnato che per entrare nel regno dei cieli non basta dire «Signore, Signore», ma deve farsi la volontà del Padre celeste. Egli ha parlato della «porta stretta» e della «angusta via» che conduce alla vita, ed ha aggiunto: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrare e non vi riusciranno». Egli ha posto come pietra di paragone e segno distintivo dell’amore verso Se stesso, Cristo, l’osservanza dei comandamenti. Similmente al giovane ricco, che lo interroga, Egli dice: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti » e alla nuova domanda «Quali?» risponde: «Non uccidere! non commettere adulterio! non rubare! non fare testimonianza falsa! onora il padre e la madre! e ama il prossimo tuo come te stesso!». Egli ha messo come condizione a chi vuole imitarlo, di rinunziare a se stesso e di prendere ogni giorno la sua croce. Egli esige che l’uomo sia pronto a lasciare per Lui e per la sua causa quanto ha di più caro, come il padre, la madre, i propri figli, e fin l’ultimo bene, la propria vita. Poiché Egli soggiunge: «A voi dico, amici miei: non temete quei che uccidono il corpo, e dopo tanto non possono fare di più. Vi mostrerò io chi dovete temere: temete Colui, che, dopo tolta la vita, ha il potere di mandare all’inferno».
Così parlava Gesù Cristo, il divino Pedagogo, che sa certamente, meglio degli uomini, penetrare nelle anime e attrarle al suo amore con le infinite perfezioni del suo Cuore, «bonitate et amore plenum».
E l’Apostolo delle genti San Paolo ha forse predicato altrimenti? Col suo veemente accento di persuasione, svelando l’arcano fascino del mondo soprannaturale, egli ha dispiegato la grandezza e lo splendore della fede cristiana, le ricchezze, la potenza, la benedizione, la felicità in essa racchiuse, offrendole alle anime come degno oggetto della libertà del cristiano e meta irresistibile di puri slanci d’amore. Ma non è men vero che sono altrettanto suoi gli ammonimenti come questo: «Operate con timore e tremore la vostra salute», e che dalla medesima sua penna sono scaturiti alti precetti morali, destinati a tutti i fedeli, siano essi di comune intelligenza, ovvero anime di elevata sensibilità. Prendendo dunque come stretta norma le parole di Cristo e dell’Apostolo, non si dovrebbe forse dire che la Chiesa di oggi è inclinata piuttosto alla condiscendenza che alla severità? Di guisa che l’accusa di durezza opprimente, dalla «nuova morale » mossa contro la Chiesa, in realtà va a colpire in primo luogo la stessa adorabile Persona di Cristo. […]