dal sito Santi, Beati e testimoni
Erano in molti a scommettere che sarebbe diventato un prete con i fiocchi; invece, non solo mette su famiglia, ma per difendere il matrimonio finirà per rimetterci la vita. Per rintracciare quest’altro patrono della Gmg dobbiamo spostarci questa settimana in Papua Nuova Guinea, e precisamente a Rakunai (nei pressi di Rabual), dove nel 1912 nasce il Beato Pietro To Rot. Suo padre Angelo è un capotribù influente e carismatico, tra i primi convertiti al cattolicesimo, che ha avuto un ruolo fondamentale nella diffusione del Vangelo nella sua terra. Mamma Maria è invece una cristiana fervente, che sa educare la famiglia come i primi missionari europei hanno insegnato. Pietro eredita dal padre le doti del leader, da mamma una particolare sensibilità per la religione: è forse per questa felice fusione di doti naturali, insieme ad una devozione tutta speciale ed alla predisposizione per gli studi, che il missionario crede di individuare in lui i germi della vocazione al sacerdozio e già pensa di mandarlo a studiare in Europa. E’ papà Angelo (provvidenzialmente, diremmo oggi con il senno del poi) a decidere per Pietro ed a programmargli un futuro di capo laico e di catechista. Si prepara così a questo ministero laicale, confermando quanto gli altri avevano intuito di lui: sorprendentemente portato per l’insegnamento, ottimo conoscitore della Bibbia, capace di relazionarsi con tutti, con un forte ascendente soprattutto sui giovani. Un leader nato, insomma. A 21 anni appena, il più giovane di tutta la zona, è già un catechista impagabile, braccio destro e provvidenziale collaboratore del missionario. Nel 1936, a 24 anni, si sposa con Paula Varpit, una ragazza di 16 anni che sembra fatta apposta per lui, perché ne condivide la fede, gli ideali, i propositi e l’impegno. La loro è un’unione sorretta dalla preghiera quotidiana e dalla lettura della Bibbia: nella loro casa si respira una fede vissuta, testimoniata e poi anche trasmessa ai primi figli che arrivano. Con il passare degli anni la spiritualità di Pietro si affina, la sua naturale capacità di relazione si trasforma in cordiale disponibilità verso tutti, assume sempre più un ruolo di guida indiscussa: oltre che farsi apprezzare riesce pure a farsi amare. La gente si accorge che Pietro vive ciò che insegna e lo ammira per la forza del carattere, la coerenza e la generosità che dimostra. Nel 1942 l’esercito imperiale giapponese attacca ed occupa l’intera regione, prendendo subito di mira la religione portata dagli occidentali: tutti i missionari europei sono cacciati o internati nei campi di concentramento e si distruggono tutte le cappelle cattoliche. L’unico a rimanere “sul campo” è proprio Pietro: innanzitutto perché indigeno e poi perché laico, quindi non equiparabile ai missionari che i giapponesi vogliono colpire. Con naturalezza e semplicità si prende così in carico la comunità rimasta senza sacerdote: amministra battesimi, segue malati e moribondi, assiste alla celebrazione dei matrimoni, custodisce l’Eucaristia. E’ cosciente dei rischi che corre, ma è soprattutto convinto che bisogna “dare precedenza alle cose di Dio”. I giapponesi conciano a marcarlo stretto, coscienti di avere in lui il peggior nemico da abbattere in quanto unico punto di riferimento per i cattolici della zona. Le cose per lui si mettono decisamente male quando prende posizione netta contro la poligamia che i giapponesi vogliono di nuovo introdurre: l’unità e l’indissolubilità sono le caratteristiche irrinunciabili del matrimonio cattolico e Pietro lo grida, ripetutamente e forte, con la fermezza del Battista, che dalla sua cella si scagliava contro il concubinaggio di Erode. Con doppia sofferenza, ma con la coerenza di sempre, si oppone anche a suo fratello, che si è già preso una seconda moglie. Pietro sa che, così facendo, sta segnando irrimediabilmente la sua sorte, ma con grande serenità dice a tutti che “è bello morire per la fede”. Lo arrestano a Natale del ’44 e lo chiudono in un campo di concentramento, dove la sua serenità è turbata soltanto dal pensiero della sua comunità rimasta senza guida. Inutile ogni tentativo di liberarlo, anche quello organizzato dai metodisti in accordo con alcuni cattolici. I giapponesi vogliono liberarsi in fretta di quello scomodo testimone del Vangelo: in una notte imprecisata del luglio 1945 un medico giapponesi accompagnato da due ufficiali lo sopprime con una iniezione letale. Martire per la fede e per la difesa del matrimonio, il catechista Pietro To Rot, “marito devoto, padre amoroso e catechista impegnato” è stato beatificato da Giovanni Paolo II il 17 gennaio 1995.