«L’eutanasia sarà sempre una strada sbagliata, perché è un attacco contro l’inalienabile diritto alla vita, causa direttamente la morte di un essere umano e quindi è un atto intrinsecamente cattivo in tutte le occasioni e circostanze». Non usano mezzi termini i vescovi peruviani di fronte a quello che potrebbe essere il primo caso di eutanasia nella storia del Paese. Dopo una lunga battaglia legale infatti il ministero della Salute ha infatti stabilito che occorra «rispettare la decisione di Ana Estrada Ugarte di porre fine alla sua vita attraverso la procedura tecnica di eutanasia».
Ana Estrada è una psicologa di 44 anni. Soffre di una malattia degenerativa chiamata polimiosite che nel 2016 si è aggravata al punto che per lei è stato necessario ricorrere al respiratore per vivere, è a quel punto che la donna ha iniziato la sua lotta per quello che, in Perù come in tutti gli altri Paesi, viene rivendicato come “diritto a una morte dignitosa”. Come accaduto in Italia con Welby, Dj Fabo e altri, Ana Estrada è diventata in Perù la testa di ariete per sfondare non solo le maglie della legge, ma anche la mentalità del popolo, che ha seguito la sua vicenda grazie al suo blog Anabuscalamuertedigna, poi amplificato dai media e dalla cultura dominante che anche in un Paese dove oltre l’80% dei cittadini si dice cattolico sta inesorabilmente sfondando.
«Abbiamo raggiunto l’obiettivo» ha commentato la donna che ha sottolineato che la sua lotta è, come da copione «per la libertà» La decisione prevede «l’inapplicabilità dell’articolo 112 del codice penale» che vieta il suicidio assistito. Il tribunale ha messo nero su bianco che negare questa procedura lede «i diritti alla dignità, all’autonomia, al libero sviluppo della sua personalità e alla minaccia di non subire trattamenti crudeli e disumani». La sentenza afferma inoltre che «l’eutanasia deve essere intesa come l’azione di un medico per fornire direttamente (per via orale o endovenosa) un medicinale destinato a porre fine alla vita». Tutto sembra dunque pronto.
Una sentenza di fronte a cui i vescovi hanno richiamato i principi costituzionali: «lo scopo supremo della società e dello Stato è la difesa della persona umana e il rispetto della sua dignità, cioè la cura, il rispetto e la promozione della vita dal concepimento al suo termine naturale; nessuna autorità può legittimamente imporlo o permetterlo. È contraddittorio, e non dovrebbe essere tollerato, che un organo dello Stato peruviano cerchi di cambiare una norma costituzionale e promuovere azioni contro questo sacro principio». Non solo, nella nota ricordano che «la terribile esperienza della pandemia che stiamo subendo, e che ha causato la morte di migliaia di peruviani, ci ha uniti nell’instancabile sforzo di salvare la vita e tutta la vita, fino all’ultimo momento, senza alcuna distinzione o eccezione, perché siamo spinti dall’amore del prossimo e a riconoscere in ogni paziente lo stesso Cristo che soffre nella carne del fratello».
Non sappiamo se la voce dei vescovi riuscirà a fermare il processo eutanasico, di certo è l’unica che si è levata in favore della vita e della verità. Non è ancora detta l’ultima parola.
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