Lo stato di salute del cattolicesimo in Italia accusa le stesse fragilità che affliggono la società in generale: il carattere prevalente è quello di un individualismo esasperato. È quanto emerge dall’ultimo rapporto del Censis commissionato dalla Cei in vista dell’Assemblea sinodale del 15-17 novembre di quest’anno. Sette su dieci italiani continuano a definirsi cattolici, sebbene lontani dalla dimensione comunitaria. «Più cattolici, ma anche più “individualisti” con difficoltà nel ritrovare un’esperienza quotidiana nella comunità ecclesiale: tanto i numeri offerti dal CENSIS per comprendere più da vicino quale sia il vero rapporto odierno tra Chiesa e cittadini italiani, con risultati comunque sorprendenti rispetto alla narrazione di una società “fredda” e “priva di valori”», leggiamo sul blog di Francesco Macri. Gli Italiani si sentono e si definiscono ancora cattolici anche se la partecipazione alla Messa e l’adesione alla vita comunitaria sono scarsi. Una fotografia per molti aspetti simile a quella scattata, forse con un obiettivo più preciso e potente, dalla nostra rivista con il sondaggio speciale realizzato lo scorso anno da Euromedia research.
Pesano soprattutto l’individualismo divenuto strutturale nella società e lo scandalo generato dagli abusi nella Chiesa oltre alla richiesta, così emerge dal rapporto del Censis “Italiani: fede e Chiesa”, di esprimersi con maggiore coraggio sulle tematiche cruciali dei nostri tempi. Proprio le sfide che caratterizzano i nostri tempi sembrano alla radice dell’atteggiamento di ritiro e chiusura che ha portato i redattori di un altro rapporto dello stesso istituto di ricerca a definire gli italiani un popolo di “sonnambuli”. Dormono ma non sognano e se sognano probabilmente sono incubi legati alle possibili catastrofi climatiche, all’emergenza migranti, alle crisi finanziarie e al rischio incombente di conflitti globali. L’indagine voluta dalla Cei, invece, stempera alquanto le tinte fosche di un’Italia algida e indifferente alla dimensione religiosa: non è così, non è venuto meno il bisogno di risposte spirituali, quello di appartenenza e di un riferimento etico chiaro ed esigente.
Ciò significa che tentare, come spesso si è fatto, di rendere più “accattivante” la proposta ecclesiale con trovate pastorali che rischiano di essere goffe e controproducenti non è (mai) la strada giusta. Continuiamo in maggioranza a sentirci cattolici, a fondare il nostro sistema di valori sulla solida architettura cristiana, attingiamo simboli e riferimenti dalla riserva della fede, ma in tanti proviamo diffidenza nei confronti della Chiesa istituzionale e dei sacerdoti e decidiamo di vivere la dimensione della fede solo interiormente o tra pochissimi, in una sorta di buen retiro che sa tanto di ritirata: «C’è diffidenza nei confronti dell’esperienza comunitaria», spiega Giulio De Rita su Avvenire, «il ricercatore del Censis che ha seguito l’indagine – si registra una dimensione sempre più personalistica della fede, che riguarda soprattutto i cattolici non praticanti cui piace vivere la vita interiore, spirituale, da soli, al limite condividendola con la famiglia o gli amici più stretti».
Ciò significa che il bisogno di Dio e di un Dio così come la rivelazione ci ha mostrato permane nel cuore di molti, con una fede magari fiaccata, denutrita, a rischio di evaporazione ma non estinta. Non è forse il tempo, allora, di domandarsi con maggiore puntualità perché un’Italia che si percepisce e si dichiara cattolica continua ad essere sempre meno cattolica? Nel sondaggio che Il Timone – qui per abbonarsi – ha realizzato sono state indagate le ragioni, per esempio, per le quali i credenti non vanno più a Messa: un abbondante 20% lo fa per pigrizia, il 19,3 perché delusi «da uno o più sacerdoti» e «a causa degli scandali della pedofilia nella Chiesa» (14,4%). Un 9% per «mancanza di tempo», l’8,5 % per una vera e propria perdita della fede e il 6,8% perché «la morale cattolica è troppo rigida», una quota anche significativa, ma di sicuro ben lontana da quella maggioritaria.
La conclusione che si può e anzi si deve trarre con la conseguente chiamata alla responsabilità per tutta la comunità dei credenti è che tra i tanti che non sono più praticanti molti restano tenacemente credenti e ciò che chiedono, forse senza formulare consapevolmente la domanda, è una Chiesa che sia ancora di più sé stessa, che non tradisca o stemperi la sua dimensione trascendente a vantaggio di quella orizzontale, che pure è importante ma che di quella si deve nutrire: «La zona grigia nella Chiesa di oggi, quindi», continua De Rita, «è il risultato dell’individualismo imperante, certo, ma anche di una Chiesa che fatica ad indicare un “oltre”, la Chiesa ha sempre aiutato la società italiana ad andare oltre, deve ritrovare questa sua capacità, perché una Chiesa solo orizzontale non intercetta chi è ubriaco di individualismo, perché a costoro non basta sostituire l’Io con un “noi”, hanno bisogno di un oltre, hanno bisogno di andare oltre l’io; non è un caso – e dovrebbe preoccuparci come cattolici – che nel mondo stiano vincendo gli “oltranzismi”».
C’è una sete che non accenna ad estinguersi, dunque, e un dovere per chi continua ad osservare questi fenomeni a farsene carico in maniera integrale e sine glossa. Tanti fratelli hanno bisogno di ricevere di nuovo l’annuncio di salvezza e di tornare a vedere e a vivere la propria appartenenza al corpo vivo della Chiesa, che nel frattempo non deve camuffare il suo vero volto. Come? Questa è la domanda che è necessario porsi, certi che la verità offerta dalla Chiesa è sempre in grado di rispondere agli uomini di ogni tempo, in qualsiasi condizione economica, sociologica e psicologica si trovino a vivere. Siamo la fede del Dio incarnato, il che continua a significare che è nella natura umana e con la natura umana che Dio intende operare la nostra salvezza. (Foto: Imagoeconomica)
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