Lo scandalo di Reggio Emilia sembra scomparso dai quotidiani così come dalle scalette dei telegiornali. Eppure l’inchiesta, non a caso denominata “Angeli e Demoni”, parla di bambini allontanati in modo illegittimo dalle loro famiglie, di pressioni psicologiche per generare in loro falsi ricordi, abusi in famiglia mai avvenuti, minori strappati al nucleo di origine per essere affidati ad amici, conoscenti o ex amanti degli operatori dei servizi sociali – tra cui titolari di sexy shop e una coppia di donne omosessuali – e poi ancora violenze sessuali in due casi da parte del nucleo affidatario, truffe, raggiri. Sono coinvolti a vario titolo medici, assistenti sociali, psicologi, psicoterapeuti, operatori di case famiglia, la Onlus di Moncalieri Hansel & Gretel e anche il sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, del Pd, in provincia di Reggio Emilia.
In soldoni esistono nel nostro Paese dei genitori che si sono visti strappare i figli da un giorno all’altro senza più avere la possibilità di vederli e ora scoprono che, oltre all’atrocità dell’allontanamento illegittimo, questi bambini hanno subito violenze da parte di chi si era arrogato il diritto di prendersene cura.
La vicenda è così agghiacciante e sfaccettata che si potrebbe scriverne per giorni, settimane, come è accaduto per altri fatti similari come il caso di Rignano Flaminio o dell’asilo nido “Cip e Ciop” di Pistoia. Eppure domenica, soltanto tre giorni dopo l’emersione dello scandalo, per i quotidiani italiani e i Tg le principali notizie sono state: gli sviluppi dello sbarco della Sea Watch e della capitana Carola, i trecentomila, secondo gli organizzatori, partecipanti del Gay Pride di Milano e le imperdibili vicende dell’orso M49, per evitare la cui cattura si è mobilitato anche il ministro dell’ambiente, Sergio Costa. Poche le eccezioni a questo silenzio. Non è andata meglio ieri, quando sui giornali è stata ancora la capitana Carola a farla da padrone, e ai fatti di Reggio in pochissimi hanno dato spazio. Come mai? Eppure, quando si parla di violenza sui bambini paiono in genere così attenti, presenti, pronti.
La ragione sta forse nel fatto che qui c’è in gioco qualcosa di più. Perché non si può ridurre la vicenda alla figura, pur criminale se le accuse verranno confermate, della dirigente del Servizio di assistenza sociale dell’Unione Comuni Val D’Enza, omosessuale e già legata ad alcune donne a cui aveva affidato minorenni. Federica Anghinolfi, secondo il giudice per la «sua stessa condizione personale» e per le «sue profonde convinzioni», è stata «portata a sostenere con erinnica perseveranza la “causa” dell’abuso da dimostrarsi “ad ogni costo”». Non siamo qui in presenza di uno o più “mostri” che agiscono per vantaggi di tipo economico e non solo, ma di un vero e proprio sistema ideologico che reifica il bambino.
È la stessa logica della fecondazione artificiale e dell’utero in affitto, per cui qualcuno arriva a rivendicare il “diritto al figlio”, è la logica della cosiddetta educazione sessuale nelle scuole, che pretende di far diventare normale la sessualizzazione precoce dei bambini (se l’amore è amore, perché l’età dovrebbe essere un ostacolo?), è la logica di chi considera legittimo “terminare” una vita perché imperfetta, o indegna, attraverso l’aborto o l’eutanasia infantile.
Ecco perché lo scandalo di Reggio Emilia sta uscendo di scena in sordina, perché guardarlo in faccia significherebbe chiamare per nome quel sistema che oggi comanda, per cui ogni desiderio è un diritto e un bambino non è che un mezzo per soddisfare quel desiderio, di cui i media mainstream – proprio quelli che ora tacciono – fanno da cassa di risonanza. Qualcuno diceva: «[…] molto meglio che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare».
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