Un elogio della bimillenaria tradizione liturgica della Chiesa da chi non te lo aspetteresti. Il sito Church Pop è andato a ripescare un’intervista rilasciata nel 2014 al Guardian da Bill Murray, l’attore e comico statunitense divenuto celebre con il Saturday Live Night e con film come Ghostbusters. Murray, quinto di nove figli, nato nel 1950, perciò prima dell’approvazione del nuovo Messale Romano (1969) avvenuta nella dibattutissima fase del post Concilio, è stato cresciuto da due genitori cattolici d’origine irlandese e nella sua prima giovinezza ha potuto partecipare a quella che comunemente è chiamata «Messa in latino» o «tridentina», peraltro mai abolita. Ora, Murray non è esattamente quello che si direbbe uno stinco di santo, ma ha fatto alcune affermazioni che vale la pena riprendere, perché nel suo stile frizzante esprimono bene ciò che pontefici, santi e comuni fedeli hanno insegnato e potuto constatare attraverso i secoli: il profondissimo legame tra fede e liturgia.
«Non sono sicuro che tutti i cambiamenti fossero giusti», ha detto Murray parlando di quegli anni, influenzati dalla spinta di correnti moderniste che si appoggiavano a un imprecisato ‘spirito’ del Concilio. «Io tendo a non essere d’accordo con quella che definiscono nuova Messa. Penso che abbiamo perso qualcosa perdendo il latino. Adesso se vai a una Messa cattolica, per esempio ad Harlem, può essere in spagnolo, in etiope, o in qualsiasi altra lingua. La forma, le immagini, sono le stesse ma le parole non sono le stesse». All’intervistatrice che gli domandava se non fosse meglio per i fedeli ascoltare la liturgia nella propria lingua e dunque comprenderla meglio, Murray ha risposto così: «Suppongo [scuotendo la testa]. Ma c’è una vibrazione in quelle parole. Se ci hai avuto a che fare abbastanza, sai comunque quello che significano».
All’attore manca anche molto la musica sacra, la cui più alta espressione è il canto gregoriano. «Mi manca davvero la musica, la sua potenza, sai? Accidenti! La musica sacra ha un effetto sul tuo cervello». Invece, ha aggiunto Murray, adesso abbiamo «canzoni folk, roba da top 40, oh fratello…». Con il suo parlare spontaneo e diretto, Murray ha espresso una verità che era molto chiara ai fedeli che verso la fine del XIX secolo formarono il Movimento Ceciliano (così chiamato in onore di santa Cecilia, patrona della musica), di cui san Pio X fu tra i principali sostenitori.
Nel suo primo anno di pontificato, papa Sarto scrisse il motu proprio Inter Sollicitudines (1903), dove ricordò che «la musica sacra, come parte integrante della solenne liturgia, ne partecipa il fine generale, che è la gloria di Dio e la santificazione ed edificazione dei fedeli» e sollecitava a restituire il giusto spazio al canto gregoriano e alla polifonia classica, come pure è indicato nella stessa Sacrosanctum Concilium, la costituzione liturgica del Vaticano II. Nella quale si era anche stabilito di conservare il latino, pur aprendo all’uso delle lingue nazionali in alcune parti della liturgia.
Non sappiamo se Murray, la cui sorella Nancy è una suora domenicana, sia oggi un cattolico praticante. Ma magari, secondo le disposizioni contenute nella Summorum Pontificum di Benedetto XVI, trovando un gruppo di fedeli amanti come lui della musica sacra e del latino nella liturgia, potrebbe chiedere al suo parroco di celebrare quella che oggi la Chiesa chiama «Forma straordinaria del rito romano» e che risponde al desiderio sia di diversi anziani cresciuti con l’usus antiquior della Messa sia di molti giovani.
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