Come rassicura lui stesso dal pulpito, durante la Messa in Duomo per la Natività di Maria (8 settembre), il card. Angelo Scola non intende neppure quest’anno scrivere una nuova lettera pastorale. Offre solo uno spunto pratico, che è l’indicazione a mettere al primo posto, sia per le parrocchie che per il mondo associativo cattolico, il dovere di “crescere nella dimensione culturale della fede (…) per proporre con gioia a tutte le donne e a tutti gli uomini della nostra società plurale che Cristo Risorto, Verità vivente e personale, non cessa di venire incontro ad ogni uomo”.
Il fatto che, come ama ripetere citando il Papa, ci si trovi davanti “ad un cambio di epoca” sollecita una chiara lettura dei fatti alla luce “del pensiero di Cristo”. L’arcivescovo rimprovera che “la comunione cristiana non può ridursi alla sua dimensione orizzontale”, ovvero perdersi nell’auto-esaltazione organizzativa o nella compiaciuta mistica del “piccolo gregge”. Riscoprire la dimensione culturale della Fede è considerata addirittura “un’urgenza imprescindibile soprattutto per una Chiesa di popolo come la nostra”, che deve mantenere intatta la sua enorme capacità pedagogica per trasformarla in un trampolino di lancio verso la missione.
Comincia ora un’intensa opera di verifica all’interno di ciascuna realtà cattolica, poiché “verificare sarà identificare il passo che ogni comunità è chiamata a compiere in questo specifico frangente storico. Individuando il bisogno più acuto di ogni zona, decanato, comunità pastorale, parrocchia o aggregazione di fedeli si cercherà di affrontarlo personalmente e comunitariamente con energia”.
Molti degli ambienti che si ritengono più impegnati nell’apostolato culturale accusano il Magistero contemporaneo di instaurare un falso dualismo dottrina/misericordia. A costoro il card. Scola ricorda che Evangelii gaudium ed Amoris laetitia mostrano, assieme alla lettera dell’arcivescovo Educarsi al pensiero di Cristo, il quadro realistico entro cui si svolge l’opera di ri-evangelizzazione delle nostre terre. “Continuiamo a seguire l’itinerario di Pietro e degli Apostoli alla sequela di Gesù”, dietro ai loro legittimi successori regnanti, altrimenti la nostra azione culturale non potrà mai dirsi pienamente cattolica.
La battaglia della cultura non può essere delegata ai soli centri culturali cattolici, parrocchiali, associativi o privati. E’ questo il senso della rinnovata esortazione a fare fronte comune, abbattendo le barriere tra apostolato gerarchico “tradizionale” e movimenti. L’obbiettivo è ricostruire nei fedeli una visione complessiva della realtà, impregnata di dottrina sociale della Chiesa, da diffondere in ogni ambito di vita.
Non è un mistero che in molte parrocchie, oltre che nell’associazionismo di più antica data, sia quasi tastabile una certa sudditanza alla mentalità mondana, quando non si indulge ancora in una pastorale anni ’90, ideata in un contesto completamente differente. Alcuni oratori sono rimasti paralizzati per anni perché l’assistente ecclesiastico, constatata l’impossibilità di portare avanti la pastorale in cui era stato educato, ha smesso semplicemente di decidere, spiazzando un laicato di parrocchia abituato, talvolta, a dipendere fin troppo dal sacerdote. Nella maggior parte delle parrocchie manca, inoltre, una catechesi sistematica rivolta agli adulti, ridotta spesso ad un’estemporanea appendice delle iniziative rivolte ai ragazzi.