Può sembrare strano ma il tema della pace è legato a filo diretto con il tema della scuola. La pace non è materia esclusiva della politica, dell’economia o della diplomazia internazionale, soprattutto se si considera che il politico, l’economista, il diplomatico, per svolgere il proprio compito, si è formato, ha studiato, ha attraversato i diversi gradi dell’istruzione. Ecco perché abbiamo bisogno di una scuola di alto livello, culturale e umano. In fin dei conti la scuola è il luogo in cui il bambino, ragazzo, il giovane imparano a costruire relazioni con i compagni e con gli adulti: è questo un aspetto importantissimo nelle dinamiche della crescita. Una delle eredità più pesanti della pandemia è stato l’isolamento dei giovani e questo isolamento sta avendo ripercussioni gravi sui nostri giovani: forme di depressione, di violenza verbale o fisica, dipendenza dal cellulare sono manifestazioni sempre più diffuse di un disagio che era latente prima della pandemia, ora il disagio è esploso.
La scuola è, inoltre, il luogo dove si apprende, o almeno così dovrebbe essere, il senso della giustizia attraverso un rapporto costruttivo con i docenti, attraverso la chiarezza delle valutazioni delle prove, attraverso l’atteggiamento degli adulti preposti alla formazione dei giovani. Quanto bisogno hanno i nostri giovani di giustizia, di chiarezza, di riferimenti positivi di vita buona, di senso di responsabilità per sé e per gli altri. Ecco perché dico che la scuola è direttamente collegata con il tema della pace: se non si impara a costruire relazioni sane, se non si apprende il senso della giustizia, se non si hanno modelli positivi è inevitabile che a prevalere saranno le logiche di rivendicazione, di odio, di risentimento. Allora una nazione invade l’altra, allora il più forte sfrutterà il più debole.
La situazione della scuola in Italia, lo sappiamo, è caratterizzata da una profonda ingiustizia: la libertà di scelta educativa, garantita dalla Costituzione, è nei fatti agita solo da chi dispone di risorse economiche che gli consentono di pagare una retta. Dall’altra parte anche i Gestori delle scuole pubbliche paritarie vivono l’ingiustizia di dover chiedere una retta e di dover pagare ai propri docenti uno stipendio inferiore rispetto alla scuola pubblica statale. Lo stipendio inferiore è conseguenza di logiche di amministrazione: le rette degli studenti non possono coprire le spese. Allora intervengono le Congregazioni cui le scuole appartengono. Ma fino a quando lo potranno fare? La pandemia ce lo ha fatto capire chiaramente: tante scuole pubbliche paritarie, soprattutto al Centro e al Sud, hanno chiuso i battenti perché lo sforzo economico non poteva più essere sostenuto. E così il pluralismo educativo è scomparso proprio in quei territori dove più vivo è il bisogno di educazione e formazione. Al Nord la situazione è diversa, anche grazie alle diverse forme di aiuto alle famiglie provenienti dalle Istituzioni (Regioni in primis) nel sostenere le spese scolastiche sostenute dalle famiglie per i figli, sia che questi ultimi frequentino una scuola statale sia che frequentino una scuola paritaria. E i risultati positivi sono sotto gli occhi di tutti: risultati Invalsi, tenuta sociale, economia. Dove il pluralismo educativo non è garantito, il genitore si deve accontentare. E chi si accontenta vive la situazione con un senso di insoddisfazione che, prima o poi, esploderà.
Allora da una scuola libera nasce il cittadino libero, aperto, responsabile. La nostra società ha urgente bisogno di una rinascita culturale, di nuove visioni, di aperture: la nostra società ha bisogno di idee, ha bisogno di cittadini che abbattano i muri dell’ideologia. E la scuola è stata per anni, e in parte lo è ancora, feudo dell’ideologia. Molto, va riconosciuto, è stato fatto grazie all’intelligenza dei ministri Giannini, Fedele e, ultimo, il prof. Bianchi. Ora, però, è giunto il momento di compiere il passo decisivo verso la riforma delle riforme: garantire la libertà di scelta educativa, attraverso lo strumento del costo standard, ai genitori italiani. In questo modo enormi risorse saranno liberate dalla morsa dello spreco, della burocrazia soffocante e la scuola italiana andrà verso un reale cambiamento: la scuola statale verso una reale autonomia, la scuola paritaria verso una reale libertà. E se cambia la scuola, cambiano i cittadini, cambia la società. La scuola nel dopoguerra è stata vista come strumento di cambiamento: certo, così è stato. Dall’altra parte, però, non possiamo non riconoscere che la scuola, a partire dagli anni settanta, è stata trasformata in feudo, ora del partito, ora del sindacato, ora della burocrazia. Queste logiche divisive devono scomparire: sulla scuola devono convergere tutte le forze politiche, sempre che siano effettivamente interessate al bene dei cittadini.
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