Yuan Ying, attivista del Sichuan, ha raccontato a Radio Free Asia che le autorità di governo hanno dispiegato circa 1000 agenti e quasi 400 intercettatori, cioè personale della sicurezza assoldato dalle amministrazioni regionali per "scortare" i manifestanti nei luoghi di origine, impedendo loro la presentazione dei reclami. “Erano tutti schierati – riporta – nei pressi del vicolo che porta alla chiesa di Dongtangzi. I manifestanti sono stati bloccati e sequestrati prima che potessero sporgere denuncia. Alcuni intercettatori hanno afferrato un attivista proprio sotto il naso della polizia”.
Qiao Hua, un altro attivista proveniente da Gansu, racconta di un simile schieramento di polizia vicino l’ufficio del Consiglio di Stato e il Ministero per la pubblica sicurezza, dove si erano radunati circa 200 querelanti. “Quando mi sono recato al ministero per mostrare la carta d’identità – racconta – ho visto una moltitudine di intercettatori che osservava chiunque”.
Tra le denunce presentate dai manifestanti, quella su due morti sospette di attivisti in custodia degli intercettatori, mentre in via ufficiale venivano “riaccompagnati a casa”. Lo scorso agosto Yang Tianzhi, 68 anni, è stato ritrovato mutilato e decapitato sul ciglio di una strada per la contea di Yuechi nel Sichuan. Il 20 novembre Chen Shenqun è morta a causa di un presunto incidente stradale mentre la polizia la scortava a casa. Era stata arrestata per aver denunciato abusi e sofferenze a cui era stata sottoposta nel campo di lavoro della polizia a Masanjia. Gli agenti hanno rifiutato di mostrare il corpo ai parenti prima della cremazione, scatenando il sospetto di omicidio.