Pubblichiamo di seguito uno stralcio dell’omelia tenuta dal Patriarca di Venezia, monsignor Francesco Moraglia, il 29 settembre scorso in occasione della festa di San Michele Arcangelo, patrono della città di Mestre
di Francesco Moraglia*
(…) L’esperienza della fragilità umana – che abbiamo vissuto e stiamo tuttora vivendo (vengo da una “due giorni” con i sacerdoti del Patriarcato e lì abbiamo ascoltato da parte di un nostro prete, a Venezia da anni ma originario di Bergamo, una testimonianza commovente in proposito) – ci porti, infine, a rispettare di più l’uomo e il suo mistero, dall’attimo del concepimento al momento del morire. E mettiamo finalmente da parte quel tipo d’uomo – presuntuoso e saccente – che si illudeva di avere sempre la risposta ad ogni domanda e la soluzione ad ogni problema, sognando o anche arrivando a credere d’essere come Dio e di non averne più bisogno.
Ci siamo affidati quasi completamente alla scienza e alla tecnica – trasformandole in un surrogato della vera e unica Salvezza che, invece, solo in Dio si può trovare -, in una società sempre più plasmata dal pensiero tecnico-scientifico che, certo, ha prodotto indubbi successi ma ha evidenziato pure limiti evidenti e derive preoccupanti, come testimonia l’evoluzione delle tecnoscienze che generano un intreccio tale da mettere sempre più in rilievo (in posizione di dominio) la macchina, il mezzo, il sistema scientifico e tecnologico programmato e lasciando meno in risalto il fattore umano – la persona – con tutte le possibili e gravi forme di manipolazione di cui, al momento, riusciamo, solo in parte, ad intuire o comprendere la devastante portata, specialmente in termini di libertà, di responsabilità e, in fondo, di “umanità”. Tutto è, invece, parte di una visione più grande dove l’uomo è soggetto e non oggetto e la stessa comunità è fine e non è mezzo.
(…) L’arcangelo Michele – nostro patrono – ci aiuti a far sì che l’uomo non si sostituisca mai a Dio né lasci che altri idoli ne prendano il posto. Riscopriamo e riaffermiamo, invece, la gioia e la bellezza di essere creature libere; torniamo a considerare il valore e il senso del limite, nella nostra persona e nei comportamenti sociali; acquisiamo finalmente la consapevolezza che abbiamo bisogno degli altri – siamo affidati gli uni agli altri – e che da soli non possiamo andare avanti né essere del tutto felici.
Come ho avuto modo di ribadire altre volte in questi mesi, non nella sola intelligenza umana, non nell’efficientismo o nella performance c’è la piena riuscita e la felicità dell’uomo, ma nell’incontro con l’Altro e con gli altri, nel camminare insieme, nel ricercare e costruire insieme il bene delle nostre comunità ecclesiali e civili, lasciandoci amare di più da Dio e dal prossimo e amando di più Dio e il prossimo.
Soprattutto dopo i giorni più difficili del Covid-19 dobbiamo, quindi, andare oltre il pensiero e l’azione puramente strumentale ed efficientista. E riprendiamo in mano – soprattutto nel nostro mondo occidentale e più “evoluto” – le domande e le questioni fondamentali che sono alla base dell’esistenza umana e del vivere civile; mi riferisco alle domande sul senso della vita e alla necessità che ci sia un’anima etica in tutto quello che facciamo poiché, altrimenti, una società senza questo respiro e cuore più grande, senza un’umanità autentica e consapevole, senza un’etica non può avere un buon presente e, tantomeno, un buon futuro.
Il cristiano, in particolare, ha presente – e deve sempre ricordarlo – che la scienza e la tecnica, l’economia e la finanza, l’organizzazione dello Stato, le istituzioni, lo stesso welfare ecc. hanno sì delle leggi proprie e autonome (siamo per uno Stato laico!) ma si muovono anche e soprattutto all’interno di una visione complessiva dell’uomo, buona o meno buona che sia. Ecco perché, nel momento in cui alla scienza, alla tecnica, all’economia, alla finanza e allo Stato si riconoscono le rispettive autonomie, è fondamentale, però, che non diventino degli “assoluti”, ma siano a servizio reale della persona, soggetto dotato di una propria e insopprimibile dignità, con diritti e doveri, all’interno di un tutto (il quadro sociale, la vita civile) che chiamiamo “bene comune” e che si nutre tra l’altro di solidarietà e sussidiarietà. 7 Specialmente i cristiani laici – insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà – sono oggi chiamati a rileggere e tradurre, nel rispetto di una sana laicità, i valori umani che discendono dal Vangelo di Gesù Cristo in criteri, proposte e indicazioni concrete per costruire il bene comune qui e ora. L’ispirazione cristiana del pensare e dell’agire non può venire meno senza un parallelo retrocedere anche del livello di umanità e dignità del vivere e, allora, è richiesto a tutti – specialmente a chi ha doti o un mandato popolare o un compito “pubblico” – uno sforzo di creatività, di riflessione, di discernimento, di proposta, di scelta ed anche di buona prassi. E tutto questo perché si ha a cuore il bene comune, il bene di tutti, il bene che sa comporre gli interessi legittimi, che sa ridimensionare gli interessi (troppo) di parte e sa costruire una strada comune lungo la quale ciascuno può mettersi in gioco, crescere e dare il suo contributo. (…) [fonte]
*Patriarca di Venezia
Potrebbe interessarti anche