Ci scrive un sacerdote, don Francesco Capolupo, cappellano militare. È in partenza per una missione in Kuwait e ha scritto questa lettera ai suoi parrocchiani per salutarli, con piacere la condividiamo con tutti i lettori del Timone.
di don Francesco Capolupo
Carissimi amici,
sono ormai prossimo alla partenza per il mio periodo di missione in Kuwait; i giorni dell’isolamento preventivo stanno per terminare ed è ormai alle porte la data della partenza, con tutto il suo carico di attesa, trepidazione, novità, curiosità e tanta mancanza di casa.
La casa è il luogo dove riconosciamo le nostre radici, dove ciascuno di noi si sente parte di una storia che lo ha accolto e, allo stesso tempo, che gli chiede di mettere il proprio contributo di doti, talenti e misteri che sono l’eredità di ciascuno di noi.
Misteri, proprio di misteri si tratta. Mistero non è una brutta parola, in greco indica l’arcano, ciò che di più geloso custodiamo all’interno della nostra arca che è il cuore, come gli ebrei nell’Arca custodivano l’Alleanza, il cuore della loro fede.
A Natale il Mistero, cioè il volto di Dio, assume lo sguardo di un bambino, diventa carne, persona, esperienza sensibile, cioè sperimentabile per ciascuno di noi.
Dobbiamo fare tanta attenzione a questa Solennità perché è la grande festa cristiana che anticipa il trionfo del Mistero più grande che è la Resurrezione di Gesù Cristo, il trionfo sulla morte che trasforma il Suo corpo mortale che ha preso forma nel seno di Maria, nel Corpo Glorioso che non morirà più e che regnerà per l’Eternità, Regno donato a tutti noi proprio perché la nostra carne non conoscesse un eterno imputridimento.
Questo è il Santo Natale.
Oggi stesso, mentre lavoravo ad alcuni testi, ho letto un comunicato che diffondeva l’indicazione dell’UE, agli Stati membri, di non consentire la celebrazione delle liturgie del Natale, indicando ancora le radio, le tv e internet come strumenti alternativi di preghiera liturgica.
Molti pensieri mi sono saliti alla testa. Non entro nella polemica politica dell’utilità o meno di certe “rilevazioni scientifiche” o su quello che si debba o non debba fare.
Mi soffermo su un dato: non possiamo continuare ad accettare che la nostra vita, che si nutre di relazioni e, su tutte, la relazione con il Dio fatto uomo, diventi l’espressione autoreferenziale di un individualismo soggettivista. Possono sembrare parole difficili quelle che uso ma descrivono bene l’azione malefica di una mentalità anticristiana che, ponendosi in maniera subdola dietro la bandiera della guerra al virus, combatte in gran parte anche la fede e il dono della comunione delle persone.
Autoreferenziale: “Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso…” ci ricorda Paolo nella lettera ai Filippesi. Dio stesso non è autoreferenziale perché vive della comunione della Trinità, l’Essere divino respira il “bisogno” della condivisione e della pienezza di comunione. Per vincere l’autoreferenzialità, insita nel cuore di ciascuno di noi, Cristo si fa uomo, perché possiamo sperimentare la carne di questa comunione.
Individualismo: questo termine lo sento sempre accostare alla parola libertà, ma non vanno molto d’accordo. L’incarnazione del Figlio di Dio è l’esempio più alto, assieme alla Passione, della libertà: “…non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio…”, significa che nella libertà dell’amore per ciascuno di noi, ha condiviso la nostra natura umana; come se ciascuno di noi dicesse all’altro: mi commuovo e mi appassiono per te, cioè condivido la tua fatica e mi metto in cammino con e per te (commoveo). Altro che individualismo come sorgente di libertà.
Soggettivista: il cristiano ha la dignità non di un soggetto ma dell’essere unico, irripetibile, immagine e somiglianza di Dio e redento dal Suo Sangue. Se scopro di essere amato a tal punto, il mio “soggetto” diventa un TU: ti amo, ti voglio bene, ti voglio aiutare ed amandoti e aiutandoti scopro chi sono IO veramente, mi scopro amato mentre amo, come ci insegna San Giovanni Evangelista.
Il Natale è la festa della Comunione, la festa del Dio fatto uomo, si perché Gesù Cristo non ha disdegnato il nostro corpo e lo ha assunto perché noi sperimentassimo la dolcezza della sua Persona.
Pensate quale potente Grazia leggere queste parole ai sofferenti, coloro che combattono ogni giorno la malattia che segna e piaga il corpo; coloro, soprattutto i piccoli, che nel loro corpo portano segni di violenza e di abuso: che potere di riconciliazione e perdono può sorgere da questa certezza: le piaghe che porti sono state guarite da Cristo che ha assunto le nostre piaghe, le nostre fragilità nella carne umana!
Quante volte sento ripetere in questi giorni una autentica baggianata, una stupidaggine pericolosissima: non importa come andranno le cose, non importa andare in Chiesa o vivere i sacramenti in comunità: Gesù nasce ogni giorno nel nostro cuore.
Gesù si è fatto uomo! Dio si è fatto bambino, non è un sentimento, non è una favola, non è un modo di dire: è la realtà più grande dell’Amore di Dio, diventare uomo per stare tra gli uomini!!
E’ come se dicessimo ad una persona cara: non importa se non ci vediamo, se non passiamo del tempo assieme, non fa niente se non condividiamo nulla, tanto tu nasci ogni giorno nel mio cuore…
Una bella intenzione, un bel sentimento ma dove si insinua l’idea che, alla fine, anche il legame con l’Eterno, diventa un filo che annodo io come preferisco e voglio; lo faccio crescere nel mio cuore, lo stesso luogo dove nasce anche il mio limite, il mio peccato e se nel cuore non entra la Grazia del Sacramento (Dio si è fatto esperienza!!!), quel cuore butta via tutto, perché tutto diventa uguale.
Non lasciamoci rubare il Santo Natale, non lasciamo che il grido del Vangelo di Giovanni rimanga strozzato nella nostra comoda poltrona, sia essa di casa o del nostro cuore intorpidito, facciamolo nostro questo grido: ET VERBUM CARO FACTUM EST, Il Verbo, la Parola di Vita, il Soffio dell’esistenza si è fatta carne!!
Carissimi fratelli, spero di vero cuore che questo tempo sia un dono di santità a tutti voi; io, da parte mia, cercherò di fare il possibile perché la terra del Kuwait sia occasione per me di rendere Gloria alla Passione di Cristo, il resto viene a seguire.
Vi mando il mio abbraccio, la mia benedizione e un bacio a tutti i bambini del nostro Villaggio e della nostra Brigata!
Don Francesco
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