Al giorno d’oggi non si può dire che la Chiesa non comunichi: dai massimi vertici ecclesiastici, ai consacrati, ai laici… il flusso di informazioni è, indubbiamente, ampio e continuo, e questo anche grazie all’utilizzo dei siti internet e dei vari social media: Twitter, YouTube, TikTok, Facebook, etc.
Posto questo assunto di base, che in sé va già a rispondere a tre delle cosiddette “5W” dei giornalisti (chi? La Chiesa; quando? Costantemente; dove? Su tutti i mezzi d’informazione), rimangono da esplorare gli altri due interrogativi: che cosa comunica la Chiesa? E perché lo fa, secondo quale finalità? La questione non è di secondaria importanza, anche appunto alla luce del bombardamento informativo in cui siamo immersi costantemente, che da un lato implica in chi ascolta una necessaria selezione rispetto a chi e a che cosa dedicare attenzione e dall’altra comporta degli accorgimenti in chi comunica, al fine di conquistare il maggior numero di ascoltatori.
Attorno a questi temi, il Tagespost – quotidiano cattolico bavarese di politica, società e cultura – ha intervistato Giuseppe Gracia, che in tale settore può essere a ben vedere considerato un esperto, anche alla luce dell’incarico di rappresentante per i media e la comunicazione e portavoce della Diocesi di Coira, nei Grigioni, in Svizzera, che ha ricoperto per dieci anni e dal quale si è dimesso lo scorso 4 marzo.
Innanzitutto, secondo Gracia, «la Chiesa cattolica in realtà non ha problemi di comunicazione». Un’affermazione apparentemente positiva, cui però aggiunge che, a suo modo di vedere, «i suoi [della Chiesa, ndR] problemi vanno più in profondità».
Infatti, «la Chiesa», afferma ancora, «è polarizzata quanto la società stessa, quindi il vento soffia internamente ed esternamente. Il vento, cioè lo Zeitgeist [“spirito del tempo”, ndR], che vuole che gli standard della Chiesa siano gli stessi della cultura secolare contemporanea. […] Si vorrebbe una tradizione cattolica alla luce dello Zeitgeist, invece di uno Zeitgeist alla luce della tradizione cattolica». La questione è alla luce del sole: in molti, sia fuori sia dentro la Chiesa stessa, vorrebbero che ci fosse un “aggiornamento” rispetto a quanto affermato da Cristo, alla luce del contesto attuale. Questione, questa, ancora meglio nota ai cattolici tedeschi e di quei Paesi, come appunto la Svizzera, che ne subiscono l’influsso sempre più “protestantizzante”, volto ad “aprire” al sacerdozio femminile, allo sdoganamento dell’omosessualità, etc.: tutte tematiche in esame nel Cammino sinodale (Sinodaler Weg) voluto dalla Conferenza episcopale tedesca (Dbk) attualmente in corso. E, sempre secondo Gracia, «la pressione è in aumento perché lo Zeitgeist non si fermerà finché la Chiesa non avrà quote femminili, non sarà “democratica” e non approverà ciò che la maggioranza vuole: matrimonio per tutti, aborto, maternità surrogata, eutanasia».
Alla luce di questo, secondo l’esperto, da un lato è innanzitutto necessario che la Chiesa sani la «disputa sulla direzione all’interno della Chiesa in generale», che vede ai due estremi l’ala più progressista e quella più tradizionalista e che rappresenta un problema precedente e più profondo rispetto a quello comunicativo, che risponde all’interrogativo circa il perché la Chiesa comunica e dal quale, in definitiva, dipende la salvezza del popolo di Cristo; dall’altra, anche alla luce del fatto che «se si guarda al contenuto specifico che viene comunicato, il 90% riguarda solo questioni dell’istituzione, degli uffici, del potere e degli scandali interni», è necessario rimettere il focus su che cosa dire: in tal senso è necessario, sempre secondo Gracia, «imparare a spiegare di nuovo la fede, a renderla chiara con la ragione e la pazienza. Con amichevolezza e chiarezza».
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