Tristezza e totale contrarietà. Sono le parole utilizzate dal vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, Massimo Camisasca, di fronte alla decisione del Ministro della Salute Roberto Speranza sulla pillola abortiva RU 486: si potrà assumere fino alla nona settimana di gravidanza e senza bisogno di ricovero.
ITALIA
«Purtroppo la depenalizzazione dell’aborto ha portato a una cultura di morte in cui la decisione della donna di interrompere la gravidanza è sempre più banalizzata e presentata all’opinione pubblica come un qualunque intervento farmacologico» ha scritto Camisasca sul sito della diocesi. «Tra un po’ non si parlerà più di aborto, perché esso sarà “invisibile”, non senza gravi conseguenze per la mamma e per la società. La donna viene sempre più lasciata sola di fronte alla drammatica decisione se rinunciare o meno al proprio bambino».
Per il vescovo, alla luce dei nuovi regolamenti la donna «viene lasciata sola anche nelle ore oltremodo pesanti in cui devono agire i farmaci assunti per fermare la gestazione e provocare l’espulsione. La donna sarà sola, a casa con il proprio dolore e le possibili conseguenze negative sulla sua salute. La tristezza nasce in me soprattutto nel leggere alcune affermazioni di parlamentari riportate dai giornali, come ad esempio questa: “Una risposta civile e moderna, che spazza via ogni concezione medievale del ruolo delle donne”. Invece di scegliere la strada dell’aiuto alla maternità, in una situazione di declino demografico che sta mettendo una seria ipoteca sul futuro del nostro Paese, si nasconde ipocritamente l’origine vera di questa decisione: gravare meno sulle strutture ospedaliere, anche a costo di pesanti conseguenze che il Consiglio Superiore della Sanità nelle sue Linee Guida del 2010 aveva riconosciuto come rischiose per la salute della donna».
STATI UNITI
Tutto ciò mentre negli Stati Uniti– denuncia l’organizzazione pro life Live Action – si cerca di rendere l’aborto ancora più invisibile. Come? Facendo in modo che la donna non debba recarsi in ospedale nemmeno per la prescrizione della pillola abortiva. In questa direzione va la decisione presa da un giudice federale, Theodore Chuang, che ha stabilito che chiedere a una donna di recarsi in una struttura per ottenere la pillola abortiva «costituisce un ostacolo sostanziale all’aborto». Non solo, Chuang ha affermato che «alla luce del periodo di tempo limitato durante il quale deve essere effettuato un aborto farmacologico, anzi qualunque interruzione di gravidanza, tale violazione del diritto all’aborto costituirebbe un danno irreparabile». La sentenza ha aperto la porta a una serie di iniziative che vanno nella stessa direzione. Negli ultimi mesi diversi medici, con la scusa della pandemia, hanno chiesto di poter prescrivere la pillola per via telematica così come stanno facendo per altri farmaci.
L’obiettivo è sempre lo stesso, meno si parla del bambino, meno lo si vede, più l’embrione diventa invisibile, più l’aborto diventa accettabile. Più informazioni sul bambino si danno, al contrario, più sono le mamme che decidono di non abortire. Lo conferma un sondaggio realizzato su 1.200 persone commissionato proprio da Live Action. Agli intervistati è stato mostrato un video in cui si spiegava il funzionamento del farmaco abortivo. Prima di vederlo il 45% degli intervistati sosteneva la liceità delle pillole utilizzate negli aborti medici contro il 31% dei contrari, dopo aver visto il video invece la percentuale dei no è salita al 42% contro il 39% a favore.
Quando agli intervistati è stato chiesto cosa li avesse convinti a cambiare idea, le ragioni più citate sono state «vedere lo sviluppo del bambino» e prendere atto del fatto che «si tratta della soppressione di una vita umana». Lila Rose, presidente di Live Action (foto) ha spiegato che i risultati confermano che «informazioni mediche accurate sulla procedura e sullo sviluppo dell’embrione allontanano la mente e il cuore dalla pillola abortiva».
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