di Matteo Carletti (Libertà e Persona)
La Chiesa ha sempre avuto a che fare con i “novatori”. Spesso i desideri di rinnovamento sono passati per il cuore della fede, ovvero la liturgia. Altre volte (come oggi) si cerca di agire per lo più in ambito pastorale, costringendo la Chiesa a virate radicali, con conseguente adeguamento dottrinale. Inutile ribadire come i pontefici più illuminati abbiano tentato di arginare tale deriva (che non raramente è sfociata in vere e proprie eresie).
A rispondere a chi sostiene oggi la necessità «di una messa a punto» della Chiesa con i tempi moderni ci ha pensato, addirittura, un papa del quinto secolo, Innocenzo I. Divenuto papa nel 401, Innocenzo dovette affrontare la situazione instabile che l’Impero occidentale, devastato dalle incursioni delle popolazioni barbariche, stava attraversando. Era infatti a capo della Chiesa durante l’assedio e la presa di Roma da parte dei Visigoti di Alarico. Il suo è probabilmente uno dei pontificati, insieme a quello di san Leone Magno, più importanti del quinto secolo, in riferimento soprattutto al consolidamento del primato della sede di Roma e del suo vescovo su tutta la Chiesa.
Il suo tentativo di tenere unite le diverse realtà ecclesiali sotto la guida di Roma lo aveva portato ad un intenso rapporto epistolare con differenti sedi episcopali, in riferimento soprattutto alla disciplina ecclesiastica. Interessante, in questo ambito, è la decretale che, il 19 marzo 416, inviò come risposta a Decenzio, vescovo di Gubbio. Decenzio aveva chiesto l’intervento del Sommo Pontefice per dirimere alcune questioni in ambito liturgico. Pare infatti che il vescovo ricusasse certe prassi liturgiche che si erano diffuse nella diocesi dettate da criteri di assoluto libertarismo. Anche nel quinto secolo, insomma, c’erano sacerdoti che si erano lasciati andare alla “creatività” liturgica.
Papa Innocenzo I risponde, una per una, a tutte le questioni sottopostegli da Decenzio. La decretale inizia con un forte monito a «mantenere integre le istituzioni della chiesa come ci sono state tramandate dai beati apostoli […]. Ma dal momento che ciascuno ritiene – prosegue Innocenzo – che debba essere seguito non quello che è stato tramandato ma quello che gli pare, ne consegue che (prassi) diverse sono osservate o celebrate in (altrettanto) differenti luoghi o chiese: e così si verifica uno scandalo per il popolo il quale, non sapendo che le tradizioni antiche sono corrotte dalla umana presunzione, crede che le chiese non siano in accordo tra di loro oppure che il disaccordo sia stato introdotto dagli apostoli e dagli stessi seguaci degli apostoli».
L’attenzione è posta da papa Innocenzo sulla tradizione apostolica della Chiesa di Roma, in quanto essa e solo essa ha ricevuto da Pietro, principe degli apostoli, l’autorità sulle altre chiese particolari. Per Innocenzo «è necessario che [i vescovi e i sacerdoti] rispettino quello che la chiesa di Roma custodisce, dalla quale non c’è dubbio che essi hanno tratto origine, affinché, mentre si dedicano a postulati peregrini, non sembrino abbandonare il principio delle istituzioni».
Per papa Innocenzo è importante che coloro che deviano dalle istituzioni della chiesa romana siano ammoniti e fermati, oppure senza esitazione segnalati affinché egli sia «in grado di conoscere chi sono quelli che introducono novità o che ritengono debba essere osservata la consuetudine di un’altra chiesa anziché quella della chiesa di Roma».
L’aspetto giuridico più rilevante delle decretali è che esse, pur riguardando casi particolari, possono essere assunte a criterio generale e di conseguenza avere valore per tutta la Chiesa, tanto da confluire nel Corpus Iuris Canonici, il corpo normativo più antico del diritto canonico. Le parole di Innocenzo I, quindi, dovrebbero valere anche oggi per tutti coloro che, operando in spregio alla Dottrina e alla Tradizione, pensano di aggiornare la Chiesa ai tempi, dimenticando che la sua origine e la sua fondazione non sta nella capacità creativa dell’uomo ma in Gesù Cristo, Verità immutabile.
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