Con una nota della Sala stampa vaticana inviata ai giornalisti abbiamo appreso che l’incontro del presidente ucraino Volodymyr Zelensky con papa Francesco «è durato circa 40 minuti». Iniziato nel pomeriggio alle 16:10 nell’auletta Paolo VI, l’incontro è iniziato con i saluti: «Grazie per questa visita» ha detto Papa Francesco al presidente Zelensky. «Un grande onore essere qui», gli ha risposto il capo di Stato di Kiev.
«Sul tavolo il crocifisso. Sullo sfondo la Madonna di Lujan», ha twittato padre Antonio Spadaro. «I temi del colloquio sono riferibili alla situazione umanitaria e politica dell’Ucraina provocata dalla guerra in corso», così recita la laconica nota della Sala stampa, in un comunicato con il freno a mano decisamente tirato, anche per lo standard dei felpatissimi comunicati che solitamente vengono rilasciati in queste occasioni.
«Il Papa ha assicurato la sua preghiera costante, testimoniata dai suoi tanti appelli pubblici e dall’invocazione continua al Signore per la pace, fin dal febbraio dello scorso anno.
Entrambi hanno convenuto sulla necessità di continuare gli sforzi umanitari a sostegno della popolazione. Il Papa ha sottolineato in particolare la necessità urgente di “gesti di umanità” nei confronti delle persone più fragili, vittime innocenti del conflitto».
Al di là del richiamo ai «gesti di umanità», con un riferimento concreto probabilmente alla situazione drammatica dei tanti bimbi ucraini deportati in Russia, la Santa sede quindi sembra proseguire nella sua posizione di cercare una mediazione tra le parti in causa, ma Zelensky pare non dare molte aperture di credito. «Durante i cordiali colloqui con S.E. Mons. Gallagher», colloqui fra le delegazioni che hanno seguito l’incontro tra il presidente e il Papa, «ci si è soffermati anzitutto sull’attuale guerra in Ucraina e sulle urgenze collegate ad essa, in particolare quelle di natura umanitaria, nonché sulla necessità di continuare gli sforzi per raggiungere la pace.
Non è un segreto che papa Francesco cerchi di non schierarsi, pur chiamando per nome l’aggressione, e di tenere aperti i canali con tutti, russi compresi. Questa mattina, incontrando i nuovi ambasciatori in Vaticano di Islanda, Bangladesh, Siria, Gambia e Kazakistan ha ricordato che la Santa Sede si adopera per contribuire alla risoluzione dei conflitti attraverso l’esercizio di una “neutralità positiva”, che non significa però “neutralità etica”, “soprattutto di fronte alle sofferenze umane”.
Tutte le guerre finiscono con un negoziato, il punto è capire quando è il momento per cui un negoziato possa andare oltre al nobile tentativo e trasformarsi in qualcosa di concreto. Al momento non ci sono segnali confortanti che attestino l’aprirsi di un vero negoziato per la soluzione della crisi Ucraina. Siamo in una fase di stallo e perché possa esserci un vero processo di pace è necessario che sul campo di battaglia la bilancia permetta a uno dei due contendenti di sentirsi almeno un po’ il vincitore, cosa al momento lontana dal realizzarsi. Nessuna pace è possibile per la Russia se non riconoscendo almeno i territori “conquistati”, nessuna pace è possibile per l’Ucraina se non ritornando alla situazione precedente all’aggressione del febbraio 2022.
La visita del presidente ucraino Zelensky a Roma avvenuta oggi, dove ha incontrato il presidente Sergio Mattarella e la premier Giorgia Meloni, ma soprattutto papa Francesco, è difficile pensare possa avere un qualche impatto sulla guerra. Dal lato del governo italiano non può che esserci la vicinanza (e l’invio di armi) all’Ucraina, come prevede la linea della Nato, secondo la guida dagli Stati Uniti.
Papa Francesco, da parte sua, tenta in tutti i modi di rendersi disponibile come mediatore, con l’unico spiraglio che sembra essere quello di riuscire a fare da sponda ad altri, magari ai cinesi, in queste ore impegnatissimi per arrivare almeno a un cessate il fuoco (e qui la Santa Sede potrebbe sfruttare i buoni uffici costruiti in questi anni con Pechino, anche con l’accordo segreto per la nomina dei vescovi).
Il Segretario di Stato Pietro Parolin, presente a Fatima (e non a Roma) nell’occasione dell’anniversario delle apparizioni alla Cova da Iria del 13 maggio 1917, ha ricordato che «il Papa ha cercato di offrire il Vaticano come luogo di mediazione, come via per raggiungere il più rapidamente possibile un cessate il fuoco», in vista della pace. Ma, «finora», ha aggiunto, «non ci sono state risposte positive, né da una parte né dall’altra».
Proprio il giorno in cui è avvenuto l’incontro con Zelensky, il 13 maggio, anniversario delle apparizioni della Madonna a Fatima, può essere un richiamo all’arma non convenzionale che la Santa sede ha a disposizione: la preghiera, il sacrificio e le grazie. Chi ha fede comprende.
(immagine: screen shot Twitter)
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