«Un quartiere cristiano è stato attaccato a Peshawar e un laico cattolico è stato ucciso. Poche ore dopo un altro attentato ha fatto strage di civili, molti avvocati, davanti al tribunale della vicina Mardan, facendo 12 morti e 52 feriti. I cristiani sono tra i tanti obiettivi dei talebani, che colpiscono soprattutto istituzioni militari e statali come pattuglie e scuole dell’esercito. Nella logica terrorista attaccano anche scuole, università, piazze, mercati, moschee e chiese. Vogliono destabilizzare il paese e vendicarsi delle operazioni anti-terrorismo che il governo sta portando avanti»: è quanto racconta a Vatican Insider John William, prete cattolico 65enne che ha passato 17 anni a Peshawar ed è tuttora parroco alla chiesa di San Giovanni Maria Vianney, una delle due chiese cattoliche della città. Il prete è anche direttore della Commissione «Giustizia e pace» della diocesi di Islamabad-Rawalpindi, che abbraccia il territorio di Peshawar, città nel nord del Pakistan dove risiedono, nel complesso, circa diecimila fedeli.
I cristiani in Pakistan (il 3% su 200 milioni abitanti) si ritrovano vittime di un altro attacco che, grazie al pronto intervento dell’esercito, ha fatto danni limitati. Samuel Masih, laico cattolico e padre di famiglia, è stato ucciso dai quattro militanti che hanno fatto irruzione nella piccola «Christian colony» di Peshawar, dove vivono 30 famiglie cristiane (dieci delle quali cattoliche). E i feriti sono cinque: due civili cristiani e tre agenti di polizia.
Le «colonie» in Pakistan sono ghetti monoreligiosi che raccolgono la maggior parte dei credenti in Cristo viventi nel paese. Tali insediamenti vennero avviati dai missionari che, alla fine del 1800, portarono il Vangelo in quest’area del subcontinente indiano. I primi battezzati, allora, avevano bisogno di sviluppare un senso di solidarietà reciproca e di rafforzare la loro identità cristiana – in un ambiente sociale tutto musulmano – restando uniti. Oltre un secolo dopo, a quei motivi si aggiunge l’esigenza di sicurezza e protezione che le famiglie cristiane avvertono in Pakistan: preferiscono avere accanto dei correligionari, per scongiurare abusi e violenze.
Le minoranze religiose vivono infatti l’eredità dell’antica concezione castale, dato che le comunità cristiane e indù rimaste in Pakistan – dopo la partizione dall’India nel 1947 – appartenevano alle fasce sociali più basse. Quello stigma si avverte ancora oggi e i non musulmani sono spesso considerati «cittadini di seconda classe», anche perchè le modifiche alla Costituzione, approvate negli anni, hanno istituzionalizzato la discriminazione.
L’attentato di questa mattina è stato rivendicato dalla fazione talebana «Jamaat-ur-Ahrar» e, come ha riferito all’Agenzia vaticana Fides l’altro parroco di Peshawar Yunis Riaz, «i quattro terroristi erano appostati fuori dalla colonia. Hanno atteso che il cancello della si aprisse, per far uscire Samuel che doveva andare al lavoro. A quel punto hanno iniziato a sparare, uccidendo Samuel e penetrando nell’insediamento».
Nello scontro a fuoco, due agenti civili di sicurezza sono stati feriti ma hanno dato l’allarme. I militari sono arrivati tempestivamente: due terroristi sono stati uccisi dall’esercito, altri due si sono fatti esplodere (dato che tutti e quattro avevano giubbotti esplosivi), distruggendo una casa dove si erano asserragliati, senza fare altre vittime.
«I cristiani a Peshawar – riferisce John William – oggi sono in lutto, ma nostra vita va avanti. Chiediamo solo la pace e ci riuniremo in preghiera contro il terrorismo. Ogni domenica chiamiamo gli uffici del governo che provvede a fornire agenti di sicurezza alle nostre chiese, che sono sempre piene. La gente ha una fede forte e radicata, confida in Dio e non ha paura».
Nonostante la difficile situazione, «il dialogo con i musulmani procede molto bene: siamo uniti nel contrastare il terrorismo che colpisce tutti. Viviamo in un clima di serena amicizia, rispetto e tolleranza con i musulmani», conclude il prete.