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26.12.2024

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Pagare per entrare in Notre Dame? «Le chiese non sono musei»
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25 Ottobre 2024

Pagare per entrare in Notre Dame? «Le chiese non sono musei»

Sono particolarmente conservatori, questi progressisti. Alla fine, sembra che per un motivo o per un altro, andare a “pucciare” le mani in chiesa sia la soluzione a tutti i problemi. Vogliamo attirare l’attenzione su uno spettacolo? Prendiamocela con l’arcivescovo che consacra la città al Sacro Cuore di Gesù. Abbiamo bisogno di distrarre l’opinione pubblica da altri fallimenti? Vedi Olimpiadi di Parigi: la Senna doveva essere balneabile e potabile come acqua pura di sorgente, ma non ci sono riusciti. Perché allora non mettere in scena una parodia offensiva e blasfema dell’Ultima cena in apertura dei Giochi? Non c’è ovviamente un nesso diretto, causale o cronologico tra le due cose, ma alla fine questo mix di incompetenza e livore nei confronti della fede cattolica è diventata una ricetta “salva cena” per tante occasioni, non trovate? Lo stato ha bisogno di raccogliere fondi? Ecco l’ultima proposta del ministro della (poca) cultura de la République: c’è così tanta gente che vuole entrare in Notre-Dame, perché non la facciamo pagare? Secondo Rachida Dati, intervista da Le Figaro, mettere a pagamento l’ingresso nella cattedrale appena restaurata e prossima alla riapertura, che sarà l’8 dicembre, «salverebbe tutte le chiese di Francia».

Una proposta che anche solo nel dibattito politico è stata contestata, leggiamo su Boulevard Voltaire. Esiste una legge del 1905 che norma la separazione Chiesa-Stato, che regola precisamente questa materia: «L’articolo 17 di tale legge , infatti, indica chiaramente che “la visita agli edifici e l’esposizione dei beni mobili classificati saranno pubbliche; non possono dar luogo ad alcuna tassa”. La tariffazione dell’ingresso in un luogo di culto contravviene a questa regola». Secondo l’avvocato del foro parigino e presidente dell’Alta Autorità Henri de Beauregard è una proposta illegittima e antistorica, anzi “storicamente scioccante: «Cattedrali e chiese furono confiscate nel 1789, poi mantenute nel 1905 a fronte della promessa del loro mantenimento e della loro libera disponibilità. Lo Stato deve mantenere le sue promesse». Ma sono anche altre e più gravi le materie nelle quali questa proposta, se attuata, provocherebbe gravi violazioni: quello culturale, persino quello economico (non c’è affatto bisogno di tassare l’accesso alle chiese per avere introiti dal turismo culturale, in una Francia immensamente ricca di beni artistici), quello identitario, ma soprattutto quello spirituale. Sarebbe un furto di ciò che per sua natura è gratuito, sottratto alle ragioni del mercato e della produttività, unica oasi per gli uomini di questo tempo frenetico, iperproduttivo, stremato dalla massa di stimoli che li investe e dalla mancanza di senso.

Le chiese, per loro natura, dovrebbero continuare ad essere aperte a tutti: «sono, infatti, gli ultimi luoghi liberi dove tutti possono godere di un’esposizione di arte varia, architettura, statue, dipinti. Nel Medioevo le chiese e le cattedrali erano considerate Bibbie illustrate, per renderle accessibili agli analfabeti». E lo sono proprio per il fatto che nascono come edificio che accoglie ed esprime le realtà spirituali che nel suo spazio si compiono. Non è semplice perimetro ma, secondo la logica dell’incarnazione, «le realtà spirituali trovano espressione in quelle sensibili, il luogo sacro è il rivestimento corporale dell’azione liturgica». Significa quindi penalizzare e discriminare i credenti, solito paradosso dell’inclusività dispotica che va per la maggiore. Le chiese non sono musei, anche se hanno un elevato valore artistico. Non c’è alcuna necessità di raccogliere fondi all’ingresso delle chiese per garantirne la conservazione e manutenzione: fa notare sempre de Beauregard su X quanto spesso sia maggiore l’indotto economico generato dalle chiese per le casse delle città in cui sorgono rispetto al costo del loro mantenimento. E questo è solo ciò che si coglie con uno sguardo orizzontale sul fenomeno: ciò che davvero non va toccato e che deve restare come sorgente nascosta e pura di tutto il bene anche materiale che genera è la natura trascendente di ciò che rappresentano, ospitano e offrono. Se vogliamo che continuino a generare ricchezza, non dobbiamo affatto considerarle un bene o un servizio soggetto a scambi commerciali.

Dobbiamo continuare a considerarle per la ricchezza vera e gratuita che conservano viva tra le mura. Non si tratta delle opere pittoriche e architettoniche che custodiscono e sono, nemmeno dei santi a cui sono dedicate e che hanno innervato l’identità del popolo francese – come quello degli altri popoli soprattutto europei; in ogni chiesa cattolica consacrata è possibile incontrare Cristo nel Santissimo Sacramento e non esiste realtà concreta seppure misteriosa più preziosa di questa. Una condotta, quella di nostro Signore, decisamente inclusiva: non fa alcuna differenza se si tratti di una cattedrale e di una piccola cappella, Lui è sempre lo stesso. Lo sapeva bene, tra i tanti numerosi atei incalliti convertiti alla fede, il francese André Frossard che, racconta egli stesso, «entrato alle cinque e dieci d’un pomeriggio in una cappella del Quartiere latino per cercarvi un amico, ne sono uscito alle cinque e un quarto in compagnia di un’amicizia che non era di questa terra». Era l’8 luglio del 1935, si trovava a Parigi, in rue d’Ulm, a due passi dal Panthéon.

La gratuità delle chiese, commenta monsignor Rey, vescovo di Fréjus- Tolone, «incarna l’universalità della Chiesa. La casa di Dio, per definizione, deve restare accessibile a chiunque senza barriere, riflesso della generosità divina. Una chiesa non può mai diventare un museo, perché è innanzitutto un luogo sacro. Contrariamente ai musei che offrono opere per l’ammirazione e l’esperienza estetica, una chiesa dona accesso al mistero divino». Qualsiasi traffico di beni, rispetto a questo, è pochissima cosa, quasi nulla. Speriamo che il ministro della cultura di Francia torni presto sui suoi passi. (Fonte foto: Pexels.com)

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