Padre Pietro Zauli (il secondo da destra nella foto in evidenza, assieme al padre, ai due fratelli e a una zia), bolognese classe 1994, dal 2015 veste l’abito dei domenicani e sabato scorso, nella Basilica di san Domenico a Bologna, è stato ordinato dall’arcivescovo Matteo Maria Zuppi. Lo stesso arcivescovo che circa tre anni fa ha consacrato sacerdote suo padre, diacono permanente dal 1997 e rimasto vedovo nel 2012. Il Timone lo ha contattato per porgli alcune domande.
Padre, partiamo dalla sua storia. Dal 2015 ha deciso di vestire l’abito dei domenicani, ma il 2018 è l’anno che ha segnato la svolta per Lei e per altri componenti della sua famiglia…
«È vero, quel settembre del 2018 è stato un mese fondamentale e ha segnato tutta la mia famiglia: l’8, il giorno prima del mio compleanno, l’Altissimo mi ha donato di legarmi per sempre a Lui nell’Ordine dei Predicatori; una settimana dopo, il 15, mio padre è divenuto sacerdote di Cristo per la nostra diocesi di Bologna e una settimana dopo ancora mio fratello Paolo, di pochi anni più giovane, ha ricevuto il dono dell’abito nel mio stesso Ordine e, mi ruba un saporoso sorriso, il giorno stesso del suo compleanno».
La vostra è, dunque, quasi una storia di “vocazione familiare”. Come e quando ha iniziato a sentire la chiamata di Dio sulla propria vita e quanto ha inciso, in questo, l’educazione ricevuta all’interno delle mura domestiche?
«Ha detto bene, l’educazione incide sul sentire la vocazione, non sull’essere chiamati. La vocazione in sé è un dono e “ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre della luce, nel quale non c’è variazione né ombra di cambiamento” (Gc 1, 17). Inizia con la propria creazione: ogni chiamata alla vita (creazione) è chiamata a vivere una vita (vocazione). L’iniziativa è dell’Altissimo, il quale poi orchestra armonie e dissonanze per comporre in un’unica sinfonia la storia di una persona. Per armonie intendo tutti quegli eventi che positivamente favoriscono un cammino in Cristo, mentre per dissonanze intendo tutte le contrarietà che paiono impedire la vocazione, ma che Cristo converte ad argini per dirigere il Suo fiume alla foce. Dire di sì è fidarsi e lasciarsi portare, spesso anche imprevedibilmente, dal corso mirabile della Provvidenza.
Ora, qual è la prima volta che avvertii la mia vocazione… Quella di cui ho memoria accadde così: il mio parroco, Mons. Ivo Manzoni (un sacerdote tutto d’un pezzo), mi chiamò a servire all’altare. Avevo circa sette anni. Mi mise l’alba e divenni ministrante. In quella chiamata a servire nacque il desiderio di celebrare.
Per quello che riguarda l’educazione dei miei genitori, appartiene assolutamente alle armonie. Penso al loro senso religioso per l’amicizia e l’ospitalità cordiale, ma soprattutto al loro rapporto con la Verità. Lo si scorgeva, per esempio, da come prendevano sul serio le mie domande. I bambini pongono dei quesiti sull’universo grandissimi, spesso più grandi della loro effettiva possibilità di comprenderne le risposte. Ma quando tuo padre e tua madre si siedono accanto ad insegnarti, forse non intendi tutto delle loro risposte, ma cogli chiaramente una cosa: che la Verità esiste, che puoi conoscerla e, crescendo, che sei fatto per conoscerla. Diceva il Poeta una frase che mi è rimasta incisa sin dal liceo: “Considerate la vostra semenza / fatti non foste a viver come bruti /ma per seguir virtute e canoscenza” (Dante, Inferno, c. XXVI, vv. 118-120)».
C’è una figura che, più di altre, ha segnato il suo percorso?
«Coi miei genitori spicca in modo particolare un frate domenicano che ho avuto la fortuna di incontrare il mio primo anno di liceo: padre Attilio Carpin. Mi confessò e fu una delle confessioni più belle della mia vita, di un’intensità simile alla mia prima confessione. Il giorno in cui ricevetti il sacramento della Riconciliazione fu uno dei più felici. Non è un caso, allora, perché da quel predicatore avrei dovuto apprendere quella strada che porta il nome della mia gioia: la consacrazione religiosa. Come descrivere quell’incontro? Fu di nuovo un poeta a darmi le parole più vere per comprendere quell’incontro: “Ma sorrido: bello averti incontrato / Tu quel Dio l’avevi in faccia, me l’hai lasciato addosso” (D. Rondoni, Dio non è lontananza)».
È stato ordinato una settimana fa: quali sentimenti la animano ora, raggiunto questo traguardo?
«Gratitudine, sola gratitudine, pura gratitudine».
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