Il Partito comunista cinese fa di tutto «per soffocare le religioni in generale e in particolare la religione cristiana», spiega via telefono al Timone padre Bernardo Cervellera, missionario del Pime (Pontificio istituto missioni estere) e direttore dell’agenzia Asia News, commentando le nuove misure restrittive messe in atto contro i cristiani nella provincia dell’Henan, che da sola conta oltre 95 milioni di abitanti (dato del 2013). Mentre non si sa nulla di nuovo sulla spinosa questione delle nomine dei vescovi, sulla quale è in gioco la fedeltà della Chiesa a Cristo (ricordiamo che in Cina vi è da un lato la vera Chiesa cattolica, in comunione con Roma, detta «sotterranea» perché bandita dallo Stato; dall’altro la cosiddetta «Associazione patriottica cattolica cinese», controllata dal regime comunista), le autorità governative hanno diramato un avviso in cinque punti, che impone misure come la schedatura di tutti i fedeli, il canto dell’inno cinese durante ogni celebrazione, l’esposizione della bandiera cinese in ogni luogo di culto.
Abbiamo chiesto a padre Cervellera di spiegare i motivi di questo ulteriore attacco alla libertà dei nostri fratelli nella fede.
Padre Cervellera, che cosa pensa delle nuove misure restrittive nella provincia dell’Henan, di cui ha parlato Asia News, anche alla luce dei tentativi di dialogo del Vaticano con il governo cinese?
«Secondo il Partito comunista cinese, l’Henan ha un problema: il cristianesimo sta crescendo troppo – i protestanti ancora di più dei cattolici – e soprattutto stanno crescendo le comunità sotterranee. Questo crea una paura enorme all’interno del Partito comunista perché tutto ciò che non è controllato viene subito visto come nemico e quindi ci sono delle misure molto restrittive e dure nei confronti delle comunità, delle chiese e dei singoli fedeli. In merito ai tentativi di dialogo del Vaticano con il governo cinese, diciamo che è un dialogo molto diplomatico, molto caritatevole da parte del Papa, che riguarda più una possibilità futura. Penso che le misure restrittive nell’Henan siano un modo da parte della Cina, o perlomeno da parte di alcuni nel governo cinese, di far naufragare questo dialogo a tutti i costi, cioè mostrando che la Cina non vuole dialogare ma vuole imporre il controllo spasmodico sulle religioni».
Dall’1 febbraio di quest’anno sono entrati in vigore i nuovi regolamenti sull’attività religiosa, che è ormai sotto il diretto controllo del Partito comunista cinese. Perché avviene tutto questo?
«Il Partito comunista cinese vede ancora le religioni come una fonte di terrorismo, di divisione, di esaltazione etnica e quindi le vede come possibili strumenti per creare caos nella società. Ha una concezione molto negativa della religione. Inoltre, il Partito comunista ha fatto già da tempo un’analisi sulla caduta del comunismo in Unione Sovietica e ha stabilito che le religioni hanno avuto una fondamentale importanza per questa caduta, soprattutto la Chiesa cattolica, papa Giovanni Paolo II e la Polonia. Per questo loro stanno cercando, come ha detto tante volte Xi Jinping, di non avere un destino simile all’Unione Sovietica, cioè che non crolli il Partito comunista cinese; e fanno di tutto per soffocare le religioni in generale e in particolare la religione cristiana, sia protestante che cattolica».
Ci può dire qualcosa di più sul divieto ai minori di 18 anni di andare in chiesa?
«Con i nuovi regolamenti è stato imposto in modo radicale, anche con il controllo poliziesco, che i minori di 18 anni non abbiano educazione religiosa. E quindi ci sono poliziotti davanti alle porte delle chiese o membri dell’Associazione patriottica che non permettono ai giovani, ai bambini di entrare in chiesa. Questa è una cosa molto grave. Diciamo che ufficialmente già c’era questa indicazione, perché per il governo cinese l’educazione dei giovani appartiene allo Stato e non deve avere nessuna coloritura religiosa. Però, di fatto, nelle varie situazioni si chiudeva un occhio e quindi c’era stata finora una grande effervescenza religiosa anche tra i giovani, in tutte le religioni, non soltanto in quella cristiana, ma anche nel mondo buddista o taoista. Adesso, invece, per la paura che le religioni prendano sempre più piede, ci sono queste nuove norme in modo da tagliare le gambe allo sviluppo religioso. Ma io penso che tutto questo sarà inutile perché ormai la Cina è investita da un vento di ricerca spirituale che nessun partito potrà fermare».
Il 9 luglio è stata la festa dei santi martiri cinesi, martirizzati in odio alla fede cristiana in epoche diverse, dal XVII al XX secolo. Qual è l’attualità del loro insegnamento?
«Io credo che ci siano almeno due insegnamenti. Uno è che questi martiri hanno scelto la fede per servire meglio la Cina e hanno capito che la fede cristiana è qualcosa che porta sviluppo, progresso, dignità dell’uomo e impegno al servizio del bene della nazione. Molti di questi martiri cristiani sono stati uccisi durante la rivoluzione dei Boxer [avvenuta nel 1899-1901, ndr], che fu una rivolta tradizionalista nel senso che cercava di chiudere la Cina a un rapporto con il resto del mondo e cercava di inculcare e mantenere ferma nella Cina la visione per così dire tradizionale, confuciana, veteroconfuciana dello Stato e della scienza, che non esisteva. Quindi, i cristiani uccisi in questo periodo sono stati veramente cristiani perché hanno affermato che la dignità dell’uomo, la dignità spirituale della persona e lo sviluppo e il progresso, anche scientifico e democratico, della Cina passano attraverso la fede religiosa. E questa visione autenticamente cristiana è molto importante e attuale, in un periodo in cui il Partito comunista vede invece la religione come un impedimento».
E il secondo insegnamento?
«Il secondo insegnamento è che questi cristiani hanno rischiato la vita per Gesù Cristo, per la fede. E questo è un esempio importante da seguire per i cristiani di oggi, non solo in Cina ma in tutto il mondo».
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