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P. Cervellera: «L’Assemblea dei rappresentanti cattolici cinesi e il silenzio del Vaticano»
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23 Dicembre 2016

P. Cervellera: «L’Assemblea dei rappresentanti cattolici cinesi e il silenzio del Vaticano»

di Bernardo Cervellera, P.I.M.E.

 

Dal 26 al 30 dicembre prossimi si terrà a Pechino la Nona Assemblea nazionale dei rappresentanti cattolici cinesi. Essa è il raduno più autorevole della Chiesa ufficiale in Cina, quella riconosciuta dal governo. Nei suoi statuti tale incontro viene definito “l’organismo sovrano” sulla Chiesa.

L’Assemblea raccoglie decine di vescovi ufficiali riconosciuti da Pechino – quelli riconosciuti dal Vaticano e quelli non riconosciuti, illeciti o scomunicati. Insieme a loro vi sono i rappresentanti dell’Associazione patriottica (Ap), siano essi cattolici o atei oltre a un certo numero di sacerdoti, laici e suore. Nell’ultimo raduno, nel dicembre 2010 vi erano 341 membri. L’assemblea traccia le piste dell’impegno dei cattolici nella società, le attività della Chiesa, le nomine episcopali e perfino questioni di teologia, oltre a votare il rinnovo delle cariche del presidente del consiglio dei vescovi cinesi (una specie di conferenza episcopale non riconosciuta dalla Santa Sede perché mancante dei vescovi sotterranei) e il presidente dell’Ap.

Non si sa ancora molto sui temi da affrontare nel prossimo raduno. Fonti di AsiaNews dicono che responsabili dell’Ap hanno viaggiato in lungo e largo per la Cina per invitare i vescovi all’incontro verificando (e talora promettendo) la possibile elezione dei prelati alle due cariche maggiori. Come si sa, in Cina non vi sono elezioni libere, ma tutto viene preparato dietro le quinte così che al raduno il voto è solo formale e si conclude secondo quanto programmato in precedenza.

Fra i possibili candidati a presidenti del Consiglio dei vescovi si fa il nome di mons. Giuseppe Shen Bin, 46 anni, vescovo di Haimen (Jiangsu), o quello di mons. Giovanni Battista Yang Xiaoting, 52 anni, vescovo di Yulin (Shaanxi).

Fra i candidati alla presidenza dell’Associazione patriottica, si fa il nome di mons. Giuseppe Guo Jincai, 48 anni, vescovo illecito di Chengde (Hebei). I primi due vescovi sono entrambi riconosciuti dalla Santa Sede; quest’ultimo invece è uno degli otto vescovi illegittimi. Anzi, mons. Guo Jincai, ordinato nel 2010 ha aperto una serie di vescovi ordinati senza il mandato papale, inaugurando un nuovo capitolo di soprusi e violenze alla libertà religiosa della comunità cristiana.

Altre fonti però prevedono che l’Assemblea confermerà gli attuali presidenti: mons. Giuseppe Ma Yinglin, vescovo illecito di Kunming (presidente della conferenza) e mons. Fang Xingyao di Linyi (presidente dell’Ap), strettamente vicino al governo di Pechino.

Molti laici e sacerdoti cattolici guardano con indifferenza il raduno dell’Assemblea, vista solo come un’occasione per alcuni opportunisti di fare la scalata al potere, ma senza una vera preoccupazione per la missione della Chiesa in Cina.

Ma molti sacerdoti della Chiesa ufficiale e sotterranea sono invece offesi per questa assise che mescola insieme “riso e sabbia”, vescovi ufficiali in comunione col papa e vescovi scomunicati trattati alla pari e obbligati a condividere il sacramento dell’unità. Fa problema anche il fatto che a dirigere la musica siano non i vescovi – come sarebbe il caso per una Chiesa che si pretende “apostolica” – ma i capi del ministero per gli affari religiosi (Amministrazione statale per gli affari religiosi, Sara), quasi a conferma che a comandare la Chiesa in Cina è il governo, ossia il Partito comunista, che addirittura si intrometterebbe in questioni strettamente religiose come le nomine dei vescovi, le questioni di dottrina e liturgia, le scelte missionarie.

Il silenzio del Vaticano

Questi sacerdoti ricordano che l’Assemblea, il Consiglio dei vescovi, l’Associazione patriottica sono stati bollati come “inconciliabili con la dottrina cattolica” da parte di Benedetto XVI nella sua Lettera ai cattolici cinesi (2007). “Eppure – dice uno di loro ad AsiaNews – partecipare a questi incontri, aderire a questa associazione è diventata un fatto ovvio, che non dà più scandalo, anzi è quasi un elemento necessario alla fede in Cina. In questo modo si svilisce il significato della fede e del sacramento dell’eucaristia, espressione di comunione con Cristo e con il papa”.

Diversi sacerdoti della Chiesa non ufficiale, che non aderisce all’Ap e per questo è perseguitata, sono stupiti del silenzio del Vaticano su tutta la vicenda. Essi , come pure molti sacerdoti della Chiesa ufficiale domandano alla Santa Sede e a papa Francesco di pronunciarsi criticando questa manipolazione della fede, anzi “attendono un suo pronunciamento”.

In effetti, quando la Sara ha organizzato la precedente Assemblea (7-9 dicembre 2010), la Commissione per la Chiesa in Cina – allora in vita, guidata da Benedetto XVI – aveva domandato ai sacerdoti e ai vescovi legati al pontefice di evitare “di porre gesti (quali, ad esempio, celebrazioni sacramentali, ordinazioni episcopali, partecipazione a riunioni) che contraddicono la comunione con il Papa” (marzo 2010). E molti vescovi hanno seguito l’indicazione tanto che la Sara ha ritardato l’appuntamento e alla fine ha costretto addirittura con la forza diversi vescovi a parteciparvi.

Finora la Santa Sede tace. Parlano invece alcuni commentatori di cose vaticane che, con un’interpretazione vicina all’Ap, consigliano al Vaticano di fare silenzio perché in fondo questo raduno voluto dalla Sara è solo una cosa politica.

In effetti è sì una “cosa politica”, ma proprio perché in Cina tutto è politica, anche la religione.

L’Assemblea dei rappresentanti cattolici cinesi ha infatti un unico valore: quello di affermare che la religione è proprietà dello Stato (o del Partito). Facendo ciò la Sara ottiene un secondo risultato: dividere la Chiesa sempre di più, accrescere il fossato fra cattolici ufficiali e sotterranei. E questo è un problema ecclesiale. In più, le scelte politiche all’Assemblea ricadono poi sulla vita della Chiesa nelle (carenti) prospettive di evangelizzazione e nelle nomine di vescovi. Per questo il silenzio del Vaticano sembra a molti fedeli e sacerdoti un avallo alla situazione o addirittura una condivisione di essa.

Chiesa “indipendente”, proprietà dello Stato

Se si guarda ai raduni precedenti, ci si accorge che le Assemblee sono state convocate proprio per proclamare queste due verità del Partito: la “proprietà” dello Stato sulla Chiesa e sulla religione cattolica e la divisione.

Nel 1998 (17-20 gennaio), alla Sesta Assemblea, i vescovi volevano eleggere presidente mons. Antonio Li Duan di Xian, conosciuto come un grande pastore fedele al papa. Ma il Partito ha deciso di far primeggiare il vescovo patriottico di Nanchino, mons. Giuseppe Liu Yuanren e il triste vescovo illecito di Pechino, mons. Michele Fu Tieshan.

Nel 2004 (7 – 9 luglio), vi è stato ancora un osanna alla “indipendenza della Chiesa” (dalla Santa Sede), nella sottomissione al Partito, sfociato nella riconferma di Liu Yuanren e di Fu Tieshan.

Quella del 2004 è stato un tentativo – nelle parole di Ye Xiaowen, allora direttore dell’Ufficio affari religiosi – di distruggere la canonizzazione dei martiri cinesi, avvenuta nel 2000. Essa aveva visto un convergere di tutti i cattolici sul culto dei martiri: libretti distribuiti a tutti i fedeli; celebrazioni comuni fra ufficiali e non ufficiali; gesti di riconciliazione. La campagna lanciata contro la canonizzazione e l’Assemblea hanno spaventato i vescovi ufficiali e i gesti di riconciliazione si sono quasi esauriti.

L’Assemblea avrebbe poi dovuto essere indetta nel 2009, e forse anche qualche anno prima, dato che nel 2005 è morto mons. Liu Yuanren, e nel 2007 mons. Fu Tieshan. Ma la Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi ha spiazzato il governo cinese, mentre ormai oltre il 90% dei vescovi si era riconciliato con il pontefice e lavorava – talvolta in modo stanco – alla riconciliazione fra ufficiali e sotterranei. Questi germi di unità hanno frenato l’indizione dell’Assemblea, che è stata procrastinata fino alla fine del 2010 obbligando spesso con la forza della polizia i vescovi a parteciparvi.

Per umiliare i vescovi e dividere le comunità, oltre all’Assemblea, la Sara (o più precisamente l’Ap), ha usato lo strumento delle ordinazioni illecite, senza mandato pontificio: nel 2000, nel 2006 (con l’ordinazione di Ma Yinglin, l’attuale presidente dell’Ap), nel 2010-2011, prima e dopo l’Assemblea.

Anche in questo periodo si stanno usando gli stessi metodi: ordinazioni con partecipazione obbligata di vescovi scomunicati (Chengdu e Xichang) e indizione dell’Assemblea alla fine di dicembre. Anche su questa violazione della santità del sacramento il Vaticano ha taciuto.

Il Partito diviso

Dal 2000 ad oggi, tutti questi tentativi hanno anche un altro scopo: rendere più difficile il rapporto fra la Cina e il Vaticano facendo scoppiare dei casi di conflitto fino alla rottura. Dal 1999 Santa Sede e Cina cercano di parlarsi con approcci, incontri, scambi di visioni, ma puntualmente succede qualcosa che costringe gli interlocutori a separarsi. Sempre, in tutti questi anni, la responsabilità della rottura cade sull’Ap (legata al Fronte unito e alla Sara). Tutto questo è dovuto anzitutto al fatto che in un futuro accordo fra Cina e Santa Sede dovrà essere discussa la funzione dell’Ap e il suo controllo sulla Chiesa: pur non essendo un’associazione ecclesiale, essa si intromette nella vita della Chiesa e addirittura si pone al di sopra dei vescovi.

Il secondo motivo di questo atteggiamento è dovuto a motivi interni: è sempre più evidente una spaccatura fra il ministero cinese degli esteri e il ministero degli affari religiosi. I primi vedono bene un rapporto disteso col Vaticano, che permetterebbe alla Cina di avere uno status più dignitoso e accettabile nella comunità internazionale; gli altri vedono il Vaticano e la sua richiesta di libertà come una minaccia al loro potere.

Una fonte del Partito a Pechino ha rivelato ad AsiaNews che la presenza del vescovo scomunicato Lei Shiyin a Chengdu e a Xichang è stata voluta proprio dalla Sara e dal Fronte unito e non dal ministero degli esteri, che ha taciuto per l’imbarazzo.

Ma anche il Vaticano ha taciuto lasciando credere ai fedeli e ai cristiani di tutto il mondo che ormai le celebrazioni con vescovi illeciti sono qualcosa di ovvio e la libertà religiosa non è più “la cartina al tornasole di tutti i diritti umani” (Giovanni Paolo II), ma un bene superfluo di cui si può fare a meno pur di salvare una flebile speranza nei rapporti diplomatici.

Per tutto questo, i cattolici ufficiali e sotterranei si appellano al papa per un giudizio autorevole sull’Assemblea e sulle ordinazioni a cui partecipano vescovi illeciti con la forza della polizia.

Ma è importante che tutta la Chiesa universale solleciti le autorità cinesi a rispettare la dignità e i diritti religiosi dei suoi cittadini, senza costringerli a partecipare a raduni e a compiere azioni contro la loro coscienza.

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