Oggi, 29 gennaio, è in programma in Pakistan una nuova udienza della Corte suprema sul caso di Asia Bibi, la mamma cattolica perseguitata per la sua fede e tenuta in prigione per oltre nove anni a causa di una falsa accusa di blasfemia. I giudici sono chiamati a pronunciarsi sulla richiesta di revisione della sentenza con cui la donna è stata assolta nell’ottobre 2018.
La richiesta di revisione del verdetto proviene da gruppi di fondamentalisti islamici, tra cui il partito Tehreek-e-Labbaik Pakistan (Tlp), che subito dopo la notizia dell’assoluzione (diffusa il 31 ottobre) avevano organizzato violente manifestazioni nelle strade delle principali città pachistane, spingendo il governo guidato da Imran Khan a firmare un accordo in più punti, inclusa la garanzia che l’esecutivo non si sarebbe opposto al riesame della sentenza del massimo tribunale pachistano. Alcune settimane più tardi le forze dell’ordine avevano organizzato una vasta retata arrestando un gran numero di estremisti. Un altro segnale incoraggiante lo si è avuto a gennaio, quando circa 500 imam hanno firmato la cosiddetta Dichiarazione di Islamabad per prendere le distanze dai fondamentalisti e dire che «uccidere con il pretesto della religione è contrario ai precetti dell’islam», sostenendo inoltre una risoluzione collegata, con un riferimento esplicito al caso di Asia.
Il ricorso contro l’assoluzione è stato presentato nello specifico da Qari Muhammad Salam, cioè l’uomo che aveva già sostenuto in primo grado l’accusa di blasfemia nei confronti di Asia, una contadina, il cui calvario era iniziato dopo un diverbio avuto nel giugno 2009 con delle lavoratrici musulmane che l’avevano insultata per aver bevuto dallo stesso recipiente a loro destinato, dicendole di aver reso “impura” l’acqua e poi attribuendole offese a Maometto. Gli avvocati di Salam, si legge sulla Stampa, ritengono «l’assoluzione di Asia Bibi non conforme agli standard di giurisprudenza, né alle disposizioni islamiche e al normale corso della giustizia, con riferimento all’applicazione delle leggi sulla blasfemia» e chiedono inoltre di inserire il nome della madre cristiana nella Exit control list, la lista di controllo delle uscite, per impedirle di lasciare il Pakistan.
Intanto, riferisce l’Ansa, l’avvocato della donna cristiana, il musulmano Saif-ul-Muluk, che a inizio novembre aveva lasciato all’improvviso il Pakistan temendo per la propria incolumità, è tornato in patria per difendere la sua assistita. La Corte suprema sarà presieduta dal giudice Asif Saeed Khosa, affiancato da Qazi Faez Isa e Mazhar Alam Khan Miankhel. Filtra ottimismo sulla decisione dei giudici e lo stesso Muluk ha detto più volte che è molto probabile che la Corte suprema confermi la sentenza di ottobre, ponendo la parola fine sul percorso giudiziario, anche se si continua a temere per il dopo, alla luce del pericolo di attentati alla vita di Asia, che spera di poter lasciare presto il Pakistan con il marito Ashiq per ricongiungersi con le due figlie Eisham ed Esha, espatriate a dicembre in Canada.
L’attivista cristiano Sabir Michael, parlando con l’Agenzia Fides, ha detto di apprezzare «il comportamento della Corte suprema. Speriamo che la magistratura segua e tuteli lo stato di diritto e che la decisione sarà presa secondo la legge, senza cedere a minacci o ricatti. Questo caso è anche un banco di prova per la magistratura, per il governo e per le minoranze che vivono in Pakistan. Aspettiamo di capire come il governo gestisce le pressioni e gli attacchi di gruppi militanti e come saprà proteggere i suoi cittadini, per assicurare alle minoranze religiose un livello adeguato di sicurezza e benessere». In attesa di conoscere la decisione dei giudici, sosteniamo Asia e la sua famiglia con le nostre preghiere.
AGGIORNAMENTO 29/01/2019, ORE 11:25
Asia Bibi è definitivamente libera, la Corte Suprema ha respinto il ricorso contro la sentenza che lo scorso ottobre l’aveva assolta dal reato di blasfemia. Il verdetto definitivo è arrivato davanti a una capitale blindata e tenuta sotto scacco dai fondamentalisti islamici che volevano la morte della donna tenuta in carcere per oltre 9 anni. Ora c’è la speranza che possa presto lasciare il Paese e, insieme al marito, ricongiungersi con la sua famiglia che si trova già all’estero.
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