Formalmente è stata una vittoria, di fatto trattasi di trionfo. In quello che più osservatori hanno valutato essere uno dei voti più importanti nella storia dell’Ungheria, Viktor Orban, in corsa per il suo quarto mandato consecutivo, non solo non ha deluso le aspettative ma, forse, le ha perfino superate. Sì, perché la vittoria del premier uscente, al potere dal 2010, è stata schiacciante e superiore, a ben vedere, alle previsioni più rosee dei sondaggisti.
Basti qui sottolineare come il suo partito, il Fidesz, abbia ottenuto ben il 54% delle preferenze, per un totale di 135 seggi sui 199 del Parlamento magiaro. Uniti per l’Ungheria, l’alleanza delle opposizioni, guidata da Peter Marki-Zay, si è invece arrestata al 34% dei consensi e a 56 seggi; mentre all’estrema destra, che ha ottenuto il 6% dei voti, vanno 8 seggi. Degna di nota è anche l’affluenza elevata, arrivata al 70% degli aventi diritto.
A rendere significativa tale vittoria, vi sono poi stati due fattori. Il primo, strettamente interno alla compagine politica ungherese, riguarda l’assetto della poc’anzi citata opposizione, giunta ad unire – in un’alleanza che, per eterogeneità, ricorda il brancaleonesco Ulivo che, in Italia, aveva per leader Romano Prodi – forze assai diverse tra loro, pur di scongiurare la vittoria di Fidesz. Già questo, a ben vedere, è un dato rilevante, specie considerato come Orban abbia più legislature alle spalle e, quindi, la possibilità d’un elettorato desideroso di cambiar aria era concreta.
Il secondo tipo di fattori che rendono questo trionfo significativo è internazionale. Da anni, il leader ungherese è infatti la bestia nera di Bruxelles, del mondo Lgbt e, più di un generale, del circuito dei grandi media. Non è un caso che lui stesso abbia scelto di commentare l’esito delle urne così, presentandolo cioè come «un chiaro segnale a Bruxelles» e non solo. «Abbiamo vinto anche a livello internazionale contro il globalismo», ha infatti dichiarato Orban, elencando i tanti contro cui si è consumata la sua vittoria: «Contro Soros. Contro i media mainstream europei. E anche contro il presidente ucraino” Volodymyr Zelensky, che nella notte di sabato si è rivolto nuovamente ad Orbán, “unico in Europa a sostenere apertamente Putin”».
Immancabilmente, varie voci si sono levate per criticare la vittoria del leader ungherese che sarebbe stata sì netta, ma condizionata – se non del tutto truccata – da presunti brogli. L’ong Hungarian Civil Liberties Union, per esempio, ha segnalato irregolarità in varie regioni, dove degli attivisti avrebbero organizzato autobus per portare la gente a votare; se è accaduto, si tratta senza dubbio di qualcosa di censurabile anche se è da vedere su quanto vi sia da scandalizzarsi, dato che episodi simili sono accaduti innumerevoli volte, e forse accadono ancora, anche in occasione di consultazioni elettorali italiane.
Ciò detto, senza voler negare come quella di Orban sia una democrazia illiberale – assetto politico che descrive bene pure altre realtà nazionali che, però, non destano analoga indignazione, a partire proprio dall’Ucraina sotto la presidenza di Zelensky – è indubbio come l’Ungheria, pur con una piccola popolazione, sotto la guida di Fidesz sia un Paese parecchio scomodo. Perché dimostra che si può disobbedire all’agenda Lgbt, puntare sulla famiglia e risollevare la denatalità senza ricorrere all’immigrazione; e si può pure continuare a seguire con convinzione il leader che in questa direzione, negli anni, ha remato.
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