«Siamo alla fine della cristianità». Affermava così, in maniera netta, l’arcivescovo statunitense Fulton Sheen (1895-1979), nel corso di una trasmissione televisiva nel 1974. Il prelato spiegava quindi, secondo quanto riportato dal National Catholic Register: «La cristianità è una vita economica, politica, sociale ispirata ai principi cristiani. Questo sta finendo, l’abbiamo visto morire. Guardiamo i sintomi: la rottura della famiglia, il divorzio, l’aborto, l’immoralità, la disonestà generale». Con l’aggravante che anche molte persone che continuano a dirsi cattoliche in realtà si stanno (talvolta inconsapevolmente) adeguando allo “spirito del mondo”, assuefatti da un clima culturale radicalmente alieno dai principi cristiani e/o perché preoccupati dell’impopolarità che oggi marchia coloro che continuano a vivere secondo l’insegnamento di Cristo.
Eppure, in questa situazione che si può legittimamente definire “critica”, non bisogna farsi prendere dallo sconforto, bensì è importante – come insegna la Scrittura – essere «sempre pronti a render conto della speranza che è in voi» (1Pietro 3,15). Anche perché, sottolineava l’arcivescovo proseguendo il suo discorso, non è la prima volta che la storia della Chiesa – che «non è una cosa continua: muore e risorge» – conosce momenti problematici, per motivi diversi e contingenti: questo è accaduto all’epoca della caduta di Roma, poi attorno all’anno 1000 e quindi nel 1500, con il dilagare del protestantesimo.
Nel tempo presente ci troviamo dunque ad affrontare la quarta “morte”, apparente, della Chiesa e questa volta, secondo Sheen, il nemico da combattere è lo spirito del mondo. Servono oggi cattolici che sappiano stare nel mondo pur senza conformarsi ad esso e che siano pronti a sopportare persecuzioni e prove a motivo della fedeltà a Nostro Signore.
Viviamo un tempo privilegiato, ha quindi sottolineato l’arcivescovo: «Ringrazio Dio […] di poter vivere in questi giorni, perché questi sono giorni di test». Fino alla metà del Novecento, infatti, «l’atmosfera era cristiana; la morale era cristiana; non c’era alcun grosso problema nell’adattarsi a una società cristiana» mentre ora occorre resistere alla mondanità e, nel contempo, prepararsi a sopportare le dure prove che probabilmente prenderanno forma nel prossimo periodo. «Nostro Signore – proseguiva Sheen – ha detto che Satana ti setaccia come il grano. E oggi siamo setacciati come grano. Quindi possiamo tutti ringraziare Dio che viviamo in questi giorni. Davvero, è bellissimo. Ora possiamo dire “sì” o “no” e possiamo sopportare l’assalto, la critica e il ridicolo, perché questo è il destino del cristiano nei giorni dello spirito del mondo».
Per affrontare tutto alla luce di Cristo, conclude quindi l’arcivescovo dando un consiglio pratico ai fedeli, è necessario impugnare la spada e combattere per quello in cui si crede, aggrappandosi al Signore per raggiungere una pace interiore che diventerà poi seme per l’intera società e contribuirà a una collettiva rinascita morale e spirituale, nel segno della Croce.
«Il Signore ha portato una spada», indica Sheen. «Non è la spada che viene spinta verso l’esterno contro il nemico. È una spada che è spinta contro noi stessi, tagliando i sette becchini dell’anima: orgoglio e avidità, lussuria e rabbia, invidia, ingordigia e indolenza. E noi abbiamo rinunciato alla spada – qualcun altro l’ha presa e noi dobbiamo riprenderla! Allora otterremo la pace! E la pace non è mai aziendale – non è mai sociale – prima di tutto è individuale».
Una lettura del mondo attuale e del modo di starci di fronte, questa formulata da Sheen, che trova eco nella “opzione benedetto” formulata nel successo editoriale dell’intellettuale statunitense Rod Dreher, il quale – in un articolo pubblicato su Il Timone di aprile, n. 172 – rilevava che «l’energia vitale dell’Europa è stata esaurita» e che l’unica via possibile, in questa società oramai post-cristiana, è quella di «incoraggiare i cristiani ordinari a pensare come i benedettini del VI secolo e, cosi facendo, a divenire quelle “minoranze creative” che Benedetto XVI ci ha chiesto di essere».
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