Dio, se c’è, c’entra. Rod Dreher ribalta il motto con cui Cornelio Fabro spiegava l’atteggiamento moderno, l’assunto che confina la dimensione religiosa in un ambito privato, o comunque su un piano che mai tocca quello della vita concreta, degli interessi, del lavoro, degli affetti. Se Dio c’è – e per Dreher, intellettuale americano, scrittore, cattolico convertitosi all’ortodossia, c’è eccome – allora c’entra, determina la radice profonda, il criterio con cui l’uomo si tuffa nell’ambiente e negli aspetti del quotidiano.
Esce in Italia, grazie a San Paolo e alla traduzione di Paolo Zanna, L’opzione Benedetto (352 pagine, 25 euro), un libro che nel 2017 ha infiammato a sorpresa il dibattito culturale americano, tanto che il New Yorker lo ha definito «il più discusso e il più importante libro religioso del decennio».
«Opzione Benedetto» è un metodo, un auspicio quasi, che Dreher ha formulato per anni nei suoi articoli e interventi, poi precipitati in questo stupefacente prontuario strategico per cristiani in un mondo postcristiano. Si tratta di un testo formidabile per originalità e pertinenza sui grandi nodi del rapporto tra fede e cultura, che investe l’invito di Gesù ai suoi, quello di «nel mondo ma non del mondo». È difficile non ascoltare nelle pagine di Dreher l’eco di Charles Péguy: «Per la prima volta, per la prima volta dopo Gesù», scriveva il grande francese, «abbiamo visto sorgere un mondo nuovo, se non una città; una società nuova formarsi, se non una città; la società moderna, il mondo moderno; un mondo, una società costituirsi, o almeno assemblarsi, (nascere e) crescere, dopo Gesù, senza Gesù. E ciò che è più tremendo, amico mio, non bisogna negarlo, è che ci sono riusciti». Lo scrittore americano ha una lettura drammatica della modernità, come fondata su forze radicalmente anticristiane, tali da scardinare la tradizionale alleanza tra Occidente e cristianesimo: «Abbiamo perso su tutti i fronti», dice, «le rapide e inarrestabili correnti del secolarismo hanno sbaragliato le nostre deboli barriere. L’ostile nichilismo laico ha conquistato popolarità nel nostro governo centrale, e la cultura si è rivoltata contro le tradizioni cristiane. Ci diciamo che questi sviluppi sono stati imposti da un’élite liberal, perché troviamo intollerabile la verità. Il popolo americano, attivamente o passivamente, approva».
La società liberale, la nostra democrazia, percepita come neutrale per definizione in quanto concepita al servizio dell’autodeterminazione e della soddisfazione dei desideri degli uomini, non è – secondo l’autore – né inevitabile, né antropologicamente ininfluente rispetto all’esperienza cristiana. Anzi, con la fulminante accelerazione degli ultimi anni, i suoi fondamenti complicano la possibilità stessa di vivere il cristianesimo. «Gesù Cristo ha promesso che le porte dell’inferno non avrebbero prevalso contro la Sua chiesa, ma non ha promesso che l’inferno non avrebbe prevalso contro la Sua chiesa in Occidente. Ciò dipende da noi», scrive.
Dreher descrive con lucidità raramente riscontrabile il percorso dell’Occidente da dopo il Medioevo a oggi, bruciando i secoli in poche tappe: «La perdita della fede riguardo al rapporto integrale tra Dio e il Creato, il crollo dell’unità religiosa e dell’autorità religiosa nella Riforma protestante, l’illuminismo del XVIII secolo, che ha sostituito la religione cristiana con il culto della Ragione, ha privatizzato la vita religiosa e inaugurato l’età della democrazia; la Rivoluzione industriale e la crescita del capitalismo nel XIX e nel XX secolo, la Rivoluzione sessuale (1960-presente)». La concezione cristiana esce maciullata, e il punto di vista americano coglie probabilmente derive non ancora toccate in Europa, o in Italia. Dreher vede la fede ridotta a una forma di «deismo moralistico terapeutico», perfetta fusione tra reminiscenze cristiane e ordine liberale in cui, appunto, Dio magari c’è ma di sicuro non c’entra, se non come pensiero devoto a margine della vita.
Dunque? Dreher, sorpreso nella conversione dalla convenienza umana della fede cristiana, propone una «ritirata strategica» – cioè l’opposto logico della vera ritirata – ispirata a due Benedetto: quello da Norcia (480-547) e il Papa emerito Joseph Ratzinger. Ai cristiani spetta un primo riconoscimento realistico, chiarissimamente espresso dal successore di Karol Wojtyla: la battaglia culturale è persa. Questo però non è motivo di sconforto: Dreher esprime una speranza opalescente, cupa ma luminosa, in cui la tempesta è circostanza provvidenziale, purché ci si rimbocchi le maniche e si costruisca un’arca con cui evitare il peggio. Alla inevitabile constatazione di un mondo costruito su idee e prassi che sterilizzano lo spazio della fede, Dreher propone un’opzione ricalcata sulla Regola benedettina.
Agli antipodi della fuga dal mondo, è una corsa verso il senso del mondo, dell’uomo e della vita, che per lui è il fatto cristiano. Come il patrono d’Europa, assistendo alla distruzione di Roma, rifondò un continente ritirandosi a pregare nelle grotte, così Dreher ritiene che, nel mondo contemporaneo, l’unica strada si concentri nella vita di fede, nell’esperienza personale del rapporto con Dio attraverso la realtà. Qui si annida il paradosso di un libro che si presta a banalizzazioni (mesi fa La Civiltà cattolica con perifrasi gesuitiche l’ha di fatto bollato come eretico): l’opzione Benedetto è una lunga, colta, semplice, ardita custodia domestica, educativa, comunitaria, ecclesiastica, dell’esperienza di fede. Fatta di regole, certo, di cura del corpo, del tempo, della preghiera: e nel mondo attuale questa custodia è impossibile fuori da una comunità laica che la tuteli e la renda possibile. L’autore, che ha visitato l’Italia e raccoglie le testimonianze di monaci benedettini, è convinto che qualunque conseguenza culturale, politica, economica, sociale del cristianesimo non possa essere figlia di un progetto di conquista, ma conseguenza di una esperienza personale di rapporto con Dio, di fede praticata e vissuta nelle circostanze della vita.
Dreher è molto capillare nell’«esigere» dal lettore un cambio di mentalità e un rigore altissimo nel vivere questa «opzione», e ritiene che la sfida contemporanea si giochi su sesso e tecnologia, ovvero i due ambiti in cui la mentalità dominante meno ammette eccezioni al dogma liberale dell’autodeterminazione. L’autore ha pagine che potranno suonare moralistiche, ma la sua proposta affetta con un piglio profetico e dunque attualissimo la consistenza delle nostre libertà immaginate. Siamo – davvero – liberi nell’educazione dei figli, nell’uso del tempo, nelle frequentazioni, nel peso da assegnare alle cose, o altri, in ultima analisi più deludenti di Dio, decidono per noi? Dreher lascia il sospetto che Dio esista, e serva all’uomo per abitare il mondo.
Il Timone nel mese di aprile 2018 ha dedicato all’Opzione Benedetto un Primo piano dove intervengono lo stesso Rod Dreher, monsignor Charles Chaput, vescovo di Philadelpia, Costanza Miriano, padre Serafino Tognetti, Giovanni Lindo Ferretti e Marco Sermarini…
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