Ieri l’Opus Dei ha compiuto i suoi primi 90 anni ma il messaggio lasciato dal suo fondatore, san Josemaria Escrivá (1902-1975), è sempre attualissimo. Del resto, non potrebbe essere altrimenti, trattandosi di un’ispirazione divina avuta da un santo mosso dal sommo desiderio di fare la volontà di Dio in ogni giorno della propria vita.
Il 2 ottobre 1928, grazie a un’esperienza mistica durante un ritiro spirituale, l’allora ventiseienne sacerdote spagnolo comprese chiaramente che Dio lo chiamava a promuovere la ricerca della santità tra le persone di ogni condizione sociale, da raggiungere innanzitutto attraverso la santificazione del lavoro. «Si può dire che l’Opus Dei è vecchia come il Vangelo e nuova come il Vangelo. Si tratta di ricordare ai cristiani quel concetto meraviglioso che si legge nella Genesi e cioè che Dio creò l’uomo “perché lavorasse”. Ci siamo ispirati all’esempio di Cristo, che trascorse quasi tutta la sua vita terrena lavorando come artigiano in un villaggio. Il lavoro non è soltanto uno dei valori umani più alti e un mezzo con cui gli uomini debbono contribuire al progresso della società: è anche cammino di santificazione», ricorderà padre Escrivá a distanza di anni dalla nascita dell’Opera, che già nel 1930 aveva arricchito con il ramo femminile.
In un’epoca di secolarizzazione avanzante – che vedeva il radicamento dei totalitarismi atei o neopagani, dal comunismo al nazismo, e delle immani tragedie da loro generate, il santo nativo di Barbastro (lui stesso fu costretto alla clandestinità nel corso della guerra civile spagnola, durante la quale anarchici e comunisti uccisero in odio alla fede circa 6.800 cattolici, tra religiosi e laici) richiamava provvidenzialmente i battezzati a guardare alla sorgente di ogni bene, Dio, compiendo la Sua volontà nella vita ordinaria e comunicando l’amore divino a coloro che non lo conoscono. Perciò spiegava che il cristiano non può «condurre una specie di doppia vita: da una parte la vita interiore, la vita di relazione con Dio; dall’altra, come una cosa diversa e separata, la vita familiare, professionale e sociale».
Il cristiano è invece chiamato a essere sale della terra e luce del mondo, come insegna Gesù (Mt 5, 13-16), e dunque deve impegnarsi a vivere il Vangelo e farlo conoscere, perché «vi è una sola vita, fatta di carne e di spirito, ed è questa che deve essere – nell’anima e nel corpo – santa e piena di Dio».
Avendo compreso che la chiamata alla santità è universale, riunì attorno a sé molti laici desiderosi di vivere la loro vocazione nel mondo. Proprio i laici costituiscono la parte più numerosa dell’Opus Dei (che oggi è diffusa nei cinque continenti e dal 1982 ha lo status di prelatura personale), alla quale nel 1943 Escrivá affiancò la Società Sacerdotale della Santa Croce, destinata ai sacerdoti attratti dalla spiritualità dell’Opera, fortemente cristocentrica, come si evince sempre dalle parole del santo: «La Croce bisogna issarla anche nelle viscere del mondo. Gesù vuole essere innalzato proprio lì: nel rumore delle fabbriche e delle officine, nel silenzio delle biblioteche, nel frastuono delle strade, nella quiete dei campi, nell’intimità delle famiglie, nelle assemblee, negli stadi… Lì dove un cristiano può spendere la sua vita onestamente, deve porre col suo amore la Croce di Cristo, che attrae a sé tutte le cose».
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