Una bomba che sconvolge la Chiesa irlandese ma che deve aprire gli occhi sulla realtà gay tra i preti dell’intera Chiesa cattolica. Il clamoroso gesto dell’arcivescovo di Dublino, monsignor Diarmuid Martin, che ha ritirato i propri seminaristi dal famoso seminario nazionale di Maynooth a causa della cultura gay che regna in quella istituzione, è destinato a provocare un terremoto nella Chiesa irlandese. Martin è infatti uno dei quattro vescovi che fa parte del comitato dei garanti di Maynooth, un simbolo della Chiesa irlandese, un seminario fondato nel 1795 e preparato per accogliere 500 seminaristi. La crisi post-conciliare e i gravi scandali di pedofilia che hanno sconvolto la Chiesa irlandese hanno comportato un calo drastico delle vocazioni e attualmente ci sono una sessantina di seminaristi, destinati ulteriormente a calare alla riapertura del seminario a settembre. Oltre ai tre della diocesi di Dublino, che verranno inviati a studiare al Collegio irlandese a Roma, indiscrezioni parlano di altri sei seminaristi che avrebbero deciso di uscire per le molestie ricevute.
A provocare la decisione di monsignor Martin è stata la certezza di una tendenza gay diffusa a Maynooth, con diversi studenti che usano l’app Grindr, la più diffusa app gay internazionale per chat e incontri. Molte anche le lettere anonime di studenti che raccontano la situazione e che subiscono molestie. Di fronte alle ripetute segnalazioni e sollecitazioni, monsignor Martin ha denunciato l’inazione dei responsabili del seminario a cui lo stesso Martin aveva offerto l’invio di persone esperte per verificare il contenuto delle denunce. Ergo: «A Maynooth c’è un ambiente velenoso, non adatto agli studenti», e da ora in poi i seminaristi della diocesi di Dublino andranno a Roma.
Già qualcuno afferma che rischiano di passare dalla padella alla brace: anche se il Collegio irlandese è stato “ripulito” cinque anni fa con un cambiamento di tutti i responsabili dopo una visita apostolica che aveva verificato molestie gay, non è che all’ombra del Vaticano quanto a omosessualità praticata fra sacerdoti e seminaristi si scherzi; ma almeno il nuovo rettore del Collegio Irlandese è un ex collaboratore di monsignor Martin di cui l’arcivescovo di Dublino sente di potersi fidare.
Per chi conosce la situazione irlandese, la decisione di Diarmuid Martin non è un fulmine a ciel sereno. Le voci su Maynooth vanno avanti da decenni (molti l’hanno già ribattezzata Gaynooth), ma non si tratta solo di voci: clamoroso fu il caso, negli anni ’80 del XX secolo di padre Gerard McGinnity, allora decano di Maynooth, che denunciò a sette vescovi gli abusi sessuali del giovane candidato alla presidenza del Collegio, monsignor Micheàl Ledwith. Una indagine fu condotta ma le accuse non furono provate, padre McGinnity fu costretto a dimettersi, fu esiliato in un piccolo villaggio del nord, mentre monsignor Ledwith proseguì nella carriera come presidente del collegio prima di dimettersi improvvisamente nel 1994. Nel 2002 fu poi reso noto che Ledwith aveva trovato un privato accordo di risarcimento con un ex seminarista che lo aveva accusato di abusi sessuali.
Maynooth è tornato al centro dell’attenzione nel 2010 quando papa Benedetto XVI ordinò una visita apostolica in tutti i seminari d’Irlanda a seguito del gravissimo scandalo pedofilia. Peraltro sul tavolo delle autorità di polizia c’è anche la denuncia di un ex seminarista che ha denunciato gravi abusi sessuali da parte del proprio direttore spirituale tra il 2007 e il 2009. In ogni caso il rapporto seguito a quella visita apostolica non è mai stato reso noto, ma nel 2011 si diffusero voci di una imminente chiusura del Collegio con lo spostamento di tutti i seminaristi al Collegio irlandese di Roma. Non se ne fece niente, ma è inevitabile che il progetto torni ora di attualità.
L’iniziativa però può partire solo da Roma perché in Irlanda monsignor Martin è isolato, e non solo per il problema seminari: gli altri tre vescovi “garanti” di Maynooth – compreso il primate irlandese Eamonn Martin, arcivescovo di Aarmagh – hanno già tutti preso posizione a favore dei responsabili del collegio, così come altri vescovi. Si ha notizia di un solo altro ordinario che si appresterebbe a ritirare i propri seminaristi.
Ad ogni modo, il nuovo scandalo irlandese – grazie al coraggio dell’arcivescovo di Dublino – porta di nuovo alla ribalta il grave problema dell’omosessualità tra i preti, non solo in Irlanda. E ci costringe a ricordare quella verità scomoda ormai diventata un tabù, ovvero che il cosiddetto “scandalo pedofilia” nella Chiesa ha molto più a che fare con l’omosessualità che non con la pedofilia vera e propria.
Vorrei ricordare al proposito l’intervista rilasciata alla Bussola Quotidiana dallo psicoterapeuta Gerard van den Aardweg (clicca qui per l’intera intervista) che, commentando l’approfondita ricerca sul fenomeno negli Stati Uniti, spiegava: «L’82% di tutte le presunte molestie consumate tra il 1950 e il 2002 aveva come vittime dei maschi: il 12% sotto gli 11 anni, come abbiamo visto, il restante 70% tra gli 11 e i 17 anni. Il che vuol dire che la grande maggioranza dei casi ha a che fare con l’«ordinaria» omosessualità. In generale i pedofili non si rivolgono a bambini dello stesso sesso, e certamente neanche gli eterosessuali. Inoltre, è innegabile che una rilevante parte di uomini con orientamento omosessuale sia attratta dagli adolescenti e preadolescenti». E commentando la drastica diminuzione di casi di pedofilia dopo gli anni ’80, van den Aardweg notava che non era affatto diminuita la tendenza omosessuale tra i preti ma che «l'età dei partner sessuali di seminaristi e preti omosessuali si sposta in avanti man mano che il comportamento omosessuale viene sempre più apertamente tollerato e normalizzato».
Non sorprende perciò che, consolidatasi nei decenni, oggi si possa parlare di una vera e propria lobby gay che ha guadagnato posizioni importanti ai vertici della Chiesa, tanto da influenzare pesantemente anche i recenti Sinodi sulla Famiglia, e che con il pretesto dell’accoglienza punta chiaramente a cambiare di fatto la dottrina cattolica sul tema della sessualità.
Né può sorprendere l’atteggiamento molto accondiscendente di tanti vescovi – anche italiani – verso il riconoscimento legale delle unioni fra persone dello stesso sesso: la difesa dell’unicità della famiglia naturale (fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna) è in questa prospettiva solo una foglia di fico. Rivendicare la diversità tra famiglia naturale e unione omosessuale infatti, non serve a difendere il matrimonio ma a legittimare quelle unioni gay il cui riconoscimento da parte dello Stato è avversato chiaramente dal Magistero della Chiesa (vedi la Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede del 2003 e la Nota dei vescovi italiani del 2007, di cui il nostro giornale ha parlato molte volte).
Un’ultima notazione riguarda il rapporto tra tolleranza o addirittura promozione di comportamenti omosessuali e deviazione dal Magistero. Maynooth è nota non solo per la cultura gay che la anima, ma anche per le tendenze liberal in teologia, soprattutto morale. Non si contano i casi di seminaristi che sono stati “bloccati” negli anni a causa di presunta “rigidità dottrinale”, vale a dire che erano fedeli a quanto la Chiesa ha insegnato per duemila anni. È ciò che avviene purtroppo in tanti altri seminari e congregazioni religiose, un altro segnale della grave situazione esistente nella Chiesa. Vocazioni genuine al sacerdozio vengono bruciate da predatori sessuali o maestri del relativismo teologico che spadroneggiano nei seminari e non solo. È scandaloso che da una parte ci si lamenti del calo delle vocazioni e dall’altra si distruggano coloro che sono chiamati.
In questo senso, l’iniziativa del vescovo Diarmuid Martin dovrebbe essere considerata come un grido di allarme perché qualcuno a Roma intervenga per riportare tanti collegi e seminari – non solo Maynooth – allo scopo per cui sono stati istituiti. La ricorrenza odierna del santo sacerdote Giovanni Maria Vianney ricordi a tutti la bellezza e la grazia della vocazione sacerdotale.