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Omissioni e errori: il mondo chiede il conto alla Cina sul Covid
NEWS 23 Aprile 2020    di Andrea Zambrano

Omissioni e errori: il mondo chiede il conto alla Cina sul Covid

Avrà anche sconfitto (forse) il Coronavirus in casa sua, ma ora per la Cina si prospetta una sfida ancor più difficile: difendersi dalle accuse di aver coperto i dati ufficiali sulla diffusione del virus. E come se non bastasse, hanno ripreso quota le voci di una manipolazione del virus sfuggita.

I report degli analisti della Freedom House non lasciano nessun dettaglio al caso e indicano che cosa è andato storto nella gestione da parte del regime di Pechino.

A cominciare dalle centinaia di detenzioni e la scomparsa di medici impegnati nel contrasto all’interno di una campagna di inganno e disinformazione. Per proseguire con la soppressione di dati scientifici su aspetti critici della diffusione. Ne hanno fatto le spese otto medici a Wuhan che hanno cercato di allertare i colleghi tramite Wechat. «I laboratori che analizzavano l’agente patogeno sono stati incaricati di distruggere i campioni – dice il report di Sarah Cook analista della Freedom House e direttrice del bollettino cinese -. Un centro sanitario che aveva pubblicato la sequenza genomica del virus è stato temporaneamente chiuso il giorno successivo. Sono state soppresse le segnalazioni di ammalati di operatori sanitari, un primo indicatore della trasmissione uomo-uomo».

In questo contesto di omertà e repressione a prendersi le colpe non sono solo gli amministratori locali di Wuhan ma anche le autorità centrali cinesi. Un centralismo decisionale che è imputabile alla sola persona di Xi Jinping che ha permesso che i dati sul contagio restassero comunque approssimativi mentre il virus si era già diffuso nel mondo.

Adesso di questa magmatica inadempienza qualcuno chiede il conto. C’è chi arriva a far causa al governo cinese, come lo stato del Missouri, che accusa il Paese asiatico di aver nascosto le informazioni e ha annunciato l’avvio della causa per bocca del procuratore generale Eric Schmitt che ha messo sul piatto i 6.105 contagi e i 229 sono morti.

Ma anche alcuni stati Europei iniziano a scaldare i motori. In Germania la Bild ha urlato in faccia a Xi di essere un «dittatore che ha infettato il mondo» facendo un raffronto tra l’insicurezza dei laboratori cinesi e le prigioni per i dissidenti. Curioso che sia la Germania ad accusare Pechino con toni che da noi sembrerebbero da sovranista della prima ora: «Non è amicizia inviare mascherine in tutto il mondo. E’ imperialismo dietro un sorriso, è un cavallo di Troia». Non l’ha detto la Meloni, ma uno dei principali giornali tedeschi.

Anche in Francia non si scherza. Le Figaro è tornato sulla fuga del virus dal laboratorio P4 di Wuhan. In un editoriale, Isabelle Lasserre ha fatto una lunga analisi sul famigerato laboratorio e posto nuove inquietanti domande. La questione non è legata alla nascita del virus, se sia o no naturale, ma sulla sua possibile fuga dal laboratorio di Wuhan a causa di negligenze da parte del personale. Il P4 era nato infatti grazie alla collaborazione con la Francia, che aveva esportato in Cina le tecnologie di sicurezza necessarie. Ma Parigi ha perso da tempo il suo “controllo” sul laboratorio P4. E come accade in tutti i regimi totalitari, quando la sicurezza va a farsi benedire, poi sorgono i problemi. Il virus – è la tesi – potrebbe essere sfuggito.

Effettivamente il fatto che la Cina sia un regime dittatoriale è un fattore che non va mai dimenticato e che in Italia spesso si tende a scordare. Che fiducia può dare, del resto, un governo che oscura anche le funzioni religiose trasmesse in streaming?


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